Questa mattina, i poliziotti della squadra mobile, hanno arrestato un 31enne di Ercolano, Gerardo Lacchè in quanto nascondeva in bagno un kalashnikov di produzione jugoslava. L’uomo era da tempo sospettato di possedere armi e dopo una discreta attività di pedinamento, alle 07.15 i poliziotti lo hanno fermato appena uscito dalla sua abitazione, sono quindi rientrati con lui ed hanno perquisito la casa. In un borsone custodito nel bagno hanno infatti rinvenuto un arma da guerra: un Zastava M70B2, fucile da assalto di fabbricazione jugoslava riproduzione balcanica del ben più noto AK-47 meglio noto col nome di Kalashnikov con 117 munizioni ad esso compatibili, più altre 117 per armi diverse. Nel borsone c’erano anche un casco integrale con visiera oscurante, un mephisto e dei guanti neri. L’uomo è stato pertanto arrestato e subito condotto al carcere di Poggioreale.
Ercolano, nascondeva un kalashnikov in casa: arrestato Gerardo Lacchè
Napoli, ragazzo morto per crollo in Galleria: 7 a giudizio
Sono stati rinviati a giudizio i sette imputati – tra tecnici del Comune, amministratori di condominio e direttore dei lavori – sotto accusa per la morte. avvenuta il 9 luglio 2014, del 14enne Salvatore Giordano provocata dal crollo di un frontone della Galleria Umberto I, in via Toledo a Napoli. Lo ha deciso oggi il gup del Tribunale di Napoli Mariella Montefusco, che ha accolto le richieste dei pm Stefania Di Dona e Lucio Giugliano, titolari dell’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Lucantonio. Le accuse contestate a vario titolo sono di omicidio e disastro colposi. Il processo comincerà il 5 ottobre davanti alla quarta sezione del Tribunale.Il crollo fu proceduto da una serie di distacchi di fregi e cornicioni, sempre sulla facciata di via Toledo, avvenuti tra il gennaio e il marzo dello stesso anno. Secondo i magistrati vi sarebbero state, tra l’altro, omissioni nella segnalazione di pericolo che avrebbe dovuto imporre interventi atti a scongiurare il crollo. Rinviati a giudizio Giovanni Spagnuolo e Salvatore Capuozzo, dirigenti in epoche diverse del Servizio sicurezza abitativa del Comune di Napoli, i tecnici del servizio protezione civile Giuseppe Africano e Franco Annunziata, gli amministratori di condominio Mariano Bruno e Marco Fresa, e Elio Notarbartolo, direttore dei lavori.
Volla: testa di maiale e un proiettili fatti recapitare a un imprenditore
Una busta con all’interno la testa mozzata di un maiale e un proiettile sono stati trovati da un imprenditore di Volla all’esterno della sua azienda la Eurofish Napoli, s.r.l. in via Palazziello che si occupa di ingrosso di prodotti ittici. L’uomo, 46 anni, ha denunciato l’accaduto ai carabinieri della locale stazione, ai quali ha raccontato di non avere subito minacce negli ultimi tempi. Gli inquirenti, che indagano su più fronti, valutano come principale pista quella di un avvertimento ai danni del titolare della società. I militari dell’Arma hanno acquisto le immagini delle telecamere di videosorveglianza interna all’azienda nella speranza di trovare elementi utili alle indagini.
Maxi processo al clan Mariano: tutti i “picuozzi” hanno chiesto lo sconto di pena
Hanno scelto di essere processati scegliendo il rito abbreviato i fratelli Ciro e Marco Mariano e con loro anche tutti i componenti della famiglia dei famigerati “Picuozzi” dei Quartieri Spagnoli. Complessivamente sono in 38 che vorranno beneficiare dello sconto di pena previsto. Per loro il processo inizierà il 20 giugno prossimo. Le accuse per tutti sono di associazione per delinquere di stampo mafioso (che non riguarda però i due imprenditori coinvolti), estorsione, ricettazione, traffico di stupe- facenti, detenzione e porto abusi- vi di armi comuni e da guerra. Il maxi processo quindi si divide perché gli altri 44 imputati che hanno chiesto di essere processati con il rito ordinario perché vogliono dimostrare in aula la loro estraneità compariranno in aula il 26 giugno.Il 20 giugno prossimo quindi il pubblico ministero discuterà la requisitoria. Ciro Mariano, in particolare, aveva chiesto nel corso dell’ultima udienza l’accesso all’abbreviato condizionato all’escussione del collaboratore di giustizia Augusto La Torre. Il gup ha però rigettato l’istanza decretando quindi il rito abbreviato “secco”. Il ras “Marcuccio”, che era stato arrestato a fine estate considerato dagli investigatori il vero stratega della cosca nella scorsa udienza fece delle dichiarazioni spontanee scagionando moglie e parenti. Ora non resta che attendere le richieste di pena da parte della pubblica accusa alla prossima udienza. Almeno per quelli come lui e i suoi familiari che hanno scelto il rito abbreviato.
RITO ABBREVIATO 20 GIUGNO
MARIANO MARCO 1955
MARIANO CIRO 1952
CARDAROPOLI ANTONIO
CASTALDO ANTONIO
CINQUE PATRIZIA
DE CRESCENZO EDOARDO
DI MEGLIO ANTONIO
DRESDA ANNAMARIA
FESTA ANTONIO
FLAMINIO GIANCARLO
DANIELA FRANCO
PATRIZIO FRANCO
FRATTINI UMBERTO
GAETANO LUISA
MAGRELLI COSTANZO
MARIANO FABIO 1981
MARIANO MARA 1990
MARIANO MARCO 1976
MARIANO RAFFAELE 1975
MARIANO SALVATORE 1971
MASIELLO ANTONIO
MASIELLO GAETANO
MASTRACCHIO PAOLO
OVERA MAURIZIO
PASSARO GIUSEPPE
PERRELLA ARMANDO
QUINZIO MARIA
RICCI VINCENZO
ROMANO CIRO
ROSSI FABIO
SAVIO PIETRO
STILE TOBIA
SORIO EMANUELE
TAGLIALATELA ELVIRA
TECCHIO CONCETTA
TECCHIO ERNESTO
TORTORA MARIO
RITO ORDINARIO 26 GIUGNO
CACACE EUGENIO
CALDARELLI UMBERTO
CAMMAROTA ANTONIO
CAPANO VALENTINA
CINQUE MARIANNA
CORCIONE ANNA
COSTABILE CIRO
DANIELE SALVATORE
FLORIO GENNARO
FRACASSO ALFREDO
FURGIERO CARMINE
GALLO CIRO
GALLO MASSIMO
GAUDINO LUIGI
GRUOSSO ALFONSO
IULIUCCI MARIO
LECCIA CIRO
MARIANO CLOTILDE
MASIELLO PASQUALE
MINGARELLI DANIELE
MOCCARDI ROBERTO
MORMILE FRANCESCO
PALMIERI GIANLUCA
PASTORE RAFFAELE
PERRELLA FRANCESCA
PULENTE GIOVANNI
PULEO CORRADO
RAPILLO GENNARO
RAPILLO PASQUALE
RAPILLO SALVATORE
RICCI BENEDETTO
RICCI ENRICO
RICCI GENNARO
RODRIGUEZ MENDES
SAHAI VIJAY
SARTORE ALFREDO
SAVIO GIOVANNA
SAVIO MARIO
SELILLO GENNARO
TRONGONE ARCANGELO
TRONGONE RAFFAELE
USSANO LUIGI
VOLPE GIUSEPPE
ZITO ENRICO
(nella foto il capo clan Ciro Mariano)
La mamma di Fortuna Loffredo a Sky: Continuo a credere nella giustizia”
“Ho sempre creduto nella giustizia e ci crederò ancora”. Lo ha detto a Sky TG24 Domenica Guardato, madre di Fortuna Loffredo, la bambina di sei anni violentata e uccisa il 24 giugno 2014 a Caivano. Parlando del suo rapporto con i vicini, alcuni dei quali secondo gli inquirenti avrebbero tenuto un atteggiamento omertoso, Domenica Guardato ha detto: “finora nessuno è ancora venuto a bussare alla mia porta per dirmi ‘finalmente abbiamo trovato un volto e un colpevole’. Io do tempo, poi giudicherò. Spero che chi ha sentito e ha visto parlerà”. La donna ha spiegato anche di non aver mai avuto sospetti su Raimondo Caputo, l’uomo sospettato dell’abuso e dell’omicidio della figlia, “mai – dice – perché non ho mai avuto modo di parlarci, neanche salutandoci”. Con la compagna di Caputo, invece “eravamo amiche. Mi ha tradito. Dentro di me l’ho sempre sentito che c’era qualcosa che non andava in lei”
Villaricca, uccise il vicino perché aveva il volume della tv troppo alto, pena ridotta a 16 anni in Appello
I giudici della Corte di Appello di Napoli hanno ridotto a 16 ani la condanna nei confronti del 75enne di Villaricca, Giovanni Chianese che la sera del 12 giugno 2014, al Corso Italia uccise il suo vicino, Davide Elia Miccio, di 29 anni, colpevole a suo dire di infastidirlo tutte le sere con il volume della tv troppo alto. In primo grado l’anziano era stato condannato a 24 anni di carcere. Oggi il giudice Zeuli, presidente della IV Sezione della Corte di Appello di Napoli, ha accolto la richiesta presentata dall’avvocato di Chianese, Matteo Casertano, di revocare l’aggravante del “futile motivo”, riconoscendo invece l’attenuante della “provocazione” da parte della vittima, Elia Miccio. Per tale motivo, è arrivato lo sconto di pena per il 75enne. Un mese e mezzo fa la Corte d’Assise d’appello, su sollecitazione delle parti civili, difese dall’avvocato Gennaro Turco, dispose il sequestro conservativo dell’abitazione del 75enne Giovanni Chianese che era stata messa in vendita. Ciò sarebbe andato in contrasto con la richiesta di risarcimento danni delle parti civili accolta dal giudice. L’omicidio avvenne la sera del 12 giugno 2014, al Corso Italia a Villaricca, nei pressi dell’abitazione di Miccio. I due vicini aveva litigato qualche ora prima. Il giovane rientrava a casa a bordo di una Peugeot 207, quando l’allora 74enne Giovanni Chianese, esplose una serie di colpi che freddarono Miccio. Chianese dopo aver ucciso il 29enne, si rifugiò in un terreno attiguo alla villetta dove i due vivevano, ma fu subito scoperto e arrestato.
(nella foto da sinistra la vittima Davide Elia Miccio e a destra l’assassino Giovanni Chianese)
Furono i Lo Russo a sparare contro Walter Mallo: ecco le intercettazioni
L’agguato a Walter Mallo, il giovane boss emergente arrestato dopo un’indagine dei carabinieri e squadra mobile a Napoli, fu deciso dal boss del clan rivale Carlo Lo Russo perche’ il gruppo dava fastidio agli affari della piazza di spaccio nel rione Don Guanella ed era necessario liberarsi del ‘fastidio’. Le conversazioni intercettate da una microspia ambientale nella casa di Lo Russo dall’11 aprile in poi (l’agguato avvenne il 26 aprile) indicano chiaramente l’irritazione di Carlo Lo Russo per il calo dei proventi dello spaccio nella zona.C’e’ forte nervosismo, e Carlo Lo Russo pensa anche di ‘vendere’ per almeno 10 mila euro la piazza a “quelli della masseria Cardone”, cioe’ il clan Licciardi. Inoltre, come riferisce uno dei suoi sicari, Luigi Cutarelli (poi arrestato con Lo Russo qualche giorno fa per omicidio), “quelli di Milito” si sono resi disponibili a “darglielo su un piatto d’argento” Walter Mallo. “Questo guaglione… Vorrei solo avere il piacere di vederlo! Prima che muore! Gli devo dare due schiaffi! Dico: ‘mannaggia la M. non hai capito niente della vita! E’ morto lo zio tuo… tuo padre non si e’ trovato piu'”, esplicita Carlo Lo Russo. Quello a cui si riferisce, e’ la morte del padre e dello zio di Walter, il primo in un caso di lupara bianca, il secondo percosso selvaggiamente con un bastone, poi ucciso, e il suo corpo avvolto in una coperta e infilato nel bagagliaio di un’auto. L’agguato avviene, mentre Walter Mallo e’ in auto in tangenziale, ma il 27enne rimane solo ferito. Quello che e’ realmente avvenuto, i carabinieri lo ascoltano in una conversazione a casa sua, a poco tempo di distanza dall’agguato, fra Walter Mallo e un suo visitatore, tal Tonino, che era venuto a chiedere perche’ non gli era stata restituita una vettura prestata il giorno prima, cioe’ il 25 aprile, al gruppo Mallo. “Passai per Miano – racconta il giovane boss – mi hanno sparato addosso… Mi colpirono due volte al braccio… Dentro alla macchina tua… i bastardi delle palazzine di Mussolini (gli edifici abitati proprio dai Lo Russo, ndr)”. Mallo racconta ancora di essersi fatto accompagnare in ospedale dal suo amico fidato Paolo Russo, (uno degli altri due arrestati oggi, ndr), e anche che ha fatto aggiustare subito il vetro mandato in frantumi dalle pallottole. Inoltre, spiega che, per non dare a vedere che era stato in ospedale, si era tolto la fasciatura e l’aveva fatta male di proposito. “Non sanno neanche sparare questi mongoloidi – commenta – io stavo distratto… Stavano le canzone alzate, normale”. Come poi dira’ in un’altra conversazione con il cugino Massimiliano quella sera, nella roccaforte di Lo Russo il giovane boss era andato per “mangiare un cornetto” proprio nel bar vicino a quei fabbricati popolari in cui il clan dei Capitoni abita. Walter Mallo e Paolo Russo sanno bene chi sono i responsabili dell’agguato e programmano la vendetta. Uno dei motivi che ha indotto il gip Francesca Ferri a firmare “l’unica misura cautelare idonea a scongiurare i rischi” di una escalation di delitti che ritiene “concreti e attuali”, cioe’ l’arresto dei tre protagonisti di questa guerra.
(nella foto da sinistra Carlo Lo Russo e Walter Mallo)
Torre del Greco, rubavano prodotti destinati ai bisognosi: denunciata una coppia
Questa mattina, gli agenti del commissariato Torre del Greco, hanno denunciato in stato di libertà un 50enne ed una 58enne del posto per il reato di ricettazione in quanto trovati in possesso di alcune confezioni di detersivo rubate poco prima dalla ‘Casa del Beato Vincenzo Romano’, un immobile della vicina parrocchia Santa Croce. Lo scorso 11 dicembre, sempre i poliziotti di Torre del Greco, avevano sequestrato un intero autocarro di detersivi appena rubati. La merce era stata sequestrata, ma il legittimo proprietario, considerando eccessivi i costi per il recupero della sua merce, aveva preferito donarlo in beneficenza alla locale parrocchia. I detersivi erano stati pertanto dissequestrati e di recente depositati presso la suddetta ‘Casa’. Questa mattina, verso le 10, un poliziotto del commissariato locale, libero dal servizio, ha saputo che decine di persone stavano facendo ressa asportando numerose confezioni di detersivo oramai di proprietà della parrocchia che doveva donarle a famiglie bisognose della zona. Informatosi telefonicamente con il parroco, ha avuto conferma di quanto accaduto. A questo punto ha avvisato il commissariato che ha inviato sul posto altri poliziotti. Pur non trovando più i ladri, sono riusciti a ricostruire il furto in due casi riuscendo anche scoprire i detentori di diverse casse di detersivi: nel negozio della 58enne sono stati infatti trovate ben 15 scatole da 9 flaconi mentre a casa del 50enne altre 10. Le scatole da 9 flaconi sono state quindi restituite al parroco che le ha riposte insieme a quelle poche rimaste rispetto alle 590 donate e le due persone trovate in loro possesso denunciate in stato di libertà.
Napoli, carenza di personale e di strumenti diagnostici: donna muore al San Giovanni Bosco
Napoli. Una donna muore per un aneurisma all’aorta addominale perchè all’ospedale San Giovanni Bosco manca l’angiotac. E’ morta dopo un’ora al Pronto soccorso dell’ospedale napoletano senza che potessero farle la diagnosi che le avrebbe salvato la vita. La 53enne è arrivata lunedì sera al pronto soccorso del San Giovanni Bosco con un aneurisma all’aorta addominale e trasferita d’urgenza al reparto di Radiologia, ma non c’è stato nulla da fare. La situazione della donna era già critica, ma la carenza di macchinari adeguati non ha aiutato i medici ad intervenire al meglio. In assenza di un angiografo in grado di effettuare il contrasto non si è potuto capire qual era il vaso sanguigno che perdeva. Con gli strumenti a disposizione è stato possibile effettuare solo una Eco, che però non era sufficiente. Con la morte della donna si ripropone l’emergenza ‘uomini e mezzi’ nell’ospedale napoletano. Le difficoltà della Radiologia vanno avanti già da diverso tempo. Dall’inizio del mese, inoltre, ben 6 infermieri di turno sono stati trasferiti: 2 al Loreto Mare, 2 a Medicina al San Giovanni, uno a Cardiologia e uno al Blocco Operatorio. E la carenza di personale pesa, purtroppo, sui servizi e la vita dei pazienti. La carenza di personale e di strutture diagnostiche ha causato diasagi anche ad un 60enne napoletano arrivato al San Giovanni Bosco con un’emorragia cerebrale massiva e in coma costretto, proprio per la mancanza di strumentazione, ad essere sballottato da un ospedale all’altro. L’uomo arriva in ospedale in condizioni già gravi e viene inviato subito in Radiologia per la Tac, che gli viene eseguita. Ma, mancando un angiografo disponibile in Neuroradiologia, non è possibile fargli l’angiotac. Quindi viene messo in ambulanza e trasportato al Loreto Mare. Dopo l’esame è stato riportato al San Giovanni dove è stato ricoverato in Rianimazione.
Bimba uccisa: ‘detective’ nel quartiere i papà dei due bimbi
Caivano. Pietro Loffredo, papà di Fortuna, la bimba 6 anni uccisa dopo aver subito abusi a Caivano e Gennaro Giglio, padre di Antonio, il bimbo morto nello stesso modo l’anno prima, nell’aprile 2013, stanno svolgendo in questi giorni autonome ‘indagini’ nel quartiere, quasi da detective privati, per ricostruire la storia dei loro figli deceduti, della cui vita sanno molto poco. Loffredo, quando morì Fortuna, era in carcere per una vicenda di dvd falsi, mentre Giglio non riusciva a vedere il figlio perché la sua ex, Marianna Fabozzi non glielo faceva vedere. L’obiettivo è di poter contribuire a fare piena luce sui due terribili casi. I due uomini si sono recati al cimitero di Caivano per rendere omaggio ai figli conosciuti poco in vita, morti in circostanze tragiche in un contesto familiare fatto di ripetute violenze nei confronti dei bambini. Gennaro Giglio e Pietro Loffredo, papà di Antonio e Fortuna, i due bambini di 4 e 6 anni deceduti dopo un volo dai piani alti dello stabile in cui vivevano a Parco Verde a distanza di un anno – il primo il 27 aprile 2013, la seconda il 24 giugno 2014. Per vicissitudini personali erano lontani dai loro figli quando quest’ultimi sono morti ma ora, come hanno dichiarato più volte, vogliono chiarezza e giustizia. Oggi, e per Gennaro Giglio era la prima volta sulla tomba di Antonio, si sono recati al cimitero insieme con l’avvocato Angelo Pisani (legale di Pietro Loffredo e dei nonni di Fortuna). Dopo le violenze accertate su Fortuna e i forti dubbi sulla morte di Antonio, l’avvocato Pisani ha espresso il rammarico per la mancata presenza di rappresentanti delle istituzioni al cimitero di Caivano oggi che si sta celebrando in tutta Italia la Giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia. Mentre si cerca di fare ancora chiarezza sulla morte di Chicca e Antonio, i carabinieri allargano le indagini su una presunta rete di pedofili nel parco Verde di Caivano, dove ha trovato la morte Fortuna Loffredo, 6 anni, abusata e uccisa da Raimondo Caputo, compagno della madre della sua amichetta, anche lei violentata come le sue sorelle da Caputo. Oltre alla nonna dell’amichetta e all’ex suocera della madre di Fortuna (la prima ha cercato di coprire le responsabilita’ di Caputo e l’altra ha nascosto una scarpa della bambina caduta), sono una decina i condomini del palazzo all’isolato 3 in cui abitano i Loffredo a essere nel mirino degli inquirenti della procura di Napoli Nord, che intende ascoltarli a breve. Indagata è anche la madre di Fortuna, Domenica Guardati, ma per la vicenda che ha visto ignoti lanciare una molotov davanti all’abitazione al piano terreno in cui era ai domiciliari fino a ieri Marianna Fabozzi, la compagna di Caputo ora in carcere a Pozzuoli, il giorno dell’arresto dell’uomo. I carabinieri cercano prove, tracce ematiche e anche biologiche sui resti della bottiglia molotov trovata nei pressi dell’abitazione in cui la donna era ai domiciliari. I pm hanno comunque iscritto nel registro degli indagati tutta la famiglia Guardato per incendio doloso. Parallelamente a questa indagine, quella per la rete di complicità e pedofilia in quella palazzina popolare.
Sant’Antimo, omicidio di Francesco Verde la Cassazione cancella la condanna per Pasqualino ‘o minorenne
Sant’Antimo. Accusato di essere il mandante dell’omicidio di Francesco Verde ‘o negus, annullata la sentenza per Pasquale Puca, alias ‘o minorenne. La Corte di Cassazione ha cancellato la condanna emessa in primo e secondo grado nei confronti dell’uomo che il 28 dicembre 2007 inviò i killer ad uccidere il sanguinario capo della cosca dei Verde, all’epoca 58enne. Gli Ermellini, accogliendo il ricorso degli avvocati Saverio Senese e Giovanni Esposito Fariello che hanno sostenuto la violazione del diritto di difesa hanno rinviato gli atti alla Corte d’Assise d’Appello di Napoli per un nuovo processo. Francesco Verde fu ucciso in un agguato nel corso del quale fu ferito il nipote Mario ‘o tipografo, 32enne. Il boss detto anche “’o Negus”, fu ucciso perché costituiva un agguerrito concorrente del clan Puca, molto attivo nella zona a nord di Napoli, ed in particolar modo nella zona compresa tra Sant’Antimo, Casandrino e Grumo Nevano. Ad inchiodare Puca furono le indagini dei Carabinieri di Castello di Cisterna supportati dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. In manette finirono tre persone Ferdinando Puca, Vincenzo Marrazzo, soprannominato “Enzuccio l’elettrauto”, diventato pentito, e Pasquale Puca, 45 anni, detto Pasqualino “’o mi- norenne”. L’uccisione di Francesco Verde fu decisa anche per vendicare l’agguato avvenuto l’anno prima ad Antonio Marrazzo, fratello minore, di Vincenzo, che al momento era il reggente del clan. Francesco Verde era il boss del clan camorristico attivo nei comuni di Sant’Antimo, Casandrino e Grumo Nevano, nell’hinterland napoletano. Tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta la cosca di Verde si contrappose alle “famiglie” dei Puca e dei Ranucci, uno scontro al quale vengono attribuiti numerosi omicidi. Soprannominato ‘o negus per la sua carnagione scura, Verde fu coinvolto in diverse inchieste su omicidi e traffico di stupefacenti. Nel 1993, grazie a un permesso premio, si allontanò dal soggiorno obbligato in una casa lavoro di Modena dandosi alla latitanza. Il boss fu catturato due anni dopo dai carabinieri alla periferia di Napoli. I Verde contavano su stretti legami con la camorra casertana: in particolare con Francesco Schiavone, meglio conosciuto come “Sandokan”.
(nella foto Pasquale Puca)
Terza faida di Scampia: ecco tutti i retroscena e le intercettazioni del duplice omicidio Stanchi-Montò
Napoli. Duplice omicidio Stanchi-Montò le rivelazioni dei pentiti svelano i delitti della terza faida di Scampia. E’ quanto emerge dalle indagini che hanno portato in carcere sette persone. «Fabio Magnetti sparò in bocca a “Lello bastone” e affianco a lui c’era Umberto Accurso, suo cugino. Quest’ultimo divenne un capo della “Vinella” proprio dopo quel delitto: fu il suo battesimo del fuoco». Tre pentiti raccontano cosa è accaduto nella guerra di camorra all’ombra delle vele. Svelato il duplice omicidio di Raffaele Stanchi e Luigi Montò grazie all’importante contributo fornito da Rosario Guarino detto “Joe banana”, ex boss della Vanella Grassi passato con lo Stato. uno dei killer della faida, però. ieri mattina è sfuggito all’arresto, l’unico degli otto destinatari della misura cautelare eseguita dalla Polizia. E’ Umberto Accurso, già latitante per gli agguati mortali ai fratelli Carlo e Antonio Matuozzo. Secondo i pentiti, Raffaele Stanchi, ras dei traffici di stupefacenti secondo Arcangelo Abete, e il suo guardaspalle Luigi Montò furono attirati in un tranello e ammazzati a Miano nell’abitazione di Car- lo Matuozzo, allora fedele braccio operativo per la droga della “Vinella”. Era l’8 gennaio 2012, ma i cadaveri furono trovati carbonizzati la mattina dopo nei pressi del cimitero di Melito. Era un tentativo per depistare le indagini, ma soprattutto disorientare i nemici di camorra, facendo credere a un’epurazione interna.
Gli uomini della “Vanella” infatti allora erano formalmente alleati degli Abete-Abbinante- Notturno-Aprea, ma stavano già facendo il doppio gioco ritornando con gli Amato-Pagano, la cui area d’influenza principale era proprio Melito. La trappola scattò a Villaricca, dove Stanchi e Montò si recarono ad un appuntamento, da lì poi partirono con tre auto per andare a Miano dove le due vittime credevano ci fosse stato un summit per il traffico di stupefacenti. in casa di Matuozzo “Lello bastone” e il fidato guardaspalle furono legati, imbavagliati e torturati con l’obiettivo di scoprire dove fossero due milioni di euro sottratti all’organizzazione per favorire Arcangelo Abete. Ma le vittime non parlarono. Una volta uccisi, Stanchi e Montò furono rimessi in auto e bruciati a Melito. Inizialmente gli investigatori si concentrarono sugli Amato-Pagano, nel cui territorio a bordo di una Fiat Punto rubata c’erano i cadaveri, o anche un gesto di sfida verso di loro. Ma la realtà superava la fantasia e i “Girati”, chiamati così proprio per la disinvoltura e abilità delle loro giravolte negli ambienti di camorra, diedero il via alla fase decisiva della terza faida di Scampia.
Stanchi, secondo gli inquirenti, fu ucciso perchè non aveva pagato una partita di droga ai Vanella-Grassi. Prima di dargli fuoco già cadavere, gli fu tagliata la mano destra, quella che si usa abitualmente per maneggiare i soldi: un chiaro segnale a chi doveva capire che il movente stava nel mancato pagamento della sostanza stupefacente, Uno “sgarro” imperdonabile per il clan Magnetti-Mennetta- Petriccione, ma soprattutto emerse la volontà di espansione del gruppo, per il quale la vittima rappresentava un ostacolo. Decisivo, per ricostruire movente e retroscena e capire quale clan avesse organizzato l’agguato, si è rivelato il riascolto di un’intercettazione ambientale risalente al 31 ottobre 2011. “Lello bastone” conversava con un uomo non identificato, affiliato anch’egli agli Amato-Pagano, e i due fecero riferimento all’intenzione di non pagare quelli della “Vinella” (il cartello Petriccione-Mennetta-Magnetti, alleatosi con i Marino e i Leonardi) per la droga. Ecco alcuni passaggi registrati dalla microspia. Erano le 16 e i due si trovavano in macchina.
Lello: «Non si fa niente manco al bar….». Sconosciuto: «Che cosa Lellù?».
Lello: «’O bar…».
Sconosciuto: «Perché non stai lavorando?…»
Lello: «(incomprensibile)» Sconosciuto: «Azz, a posto di andare avanti, andiamo indietro allora?». Lello: «..Lello bastone ti dava 3-4mila euro al mese, stai a posto, che tieni da vedere? 3 o 4 di là e 2 la pizzeria…sette….cazzo chi sta meglio di te? ..Nessu- no».
Sconosciuto: «Ora devo vedere di organizzarmi un altro poco, perché so pochi…non abbiamo abboccato neanche niente più..».
Lello: «…io avevo inciarmato con quello scornacchiato di quel Carletto là …quello ci ha ucciso a noi..».
Sconosciuto: «Gli devo far uscire la merda dalla bocca, gli devo fare una sfaccimma di paliata…come non ci sta più la Vanella…senti, ti faccio vedere, vado là, mi prendo la roba, non la pago….metti qua….metti».
Lello: «Se non era a fine di mese ci abbuscavamo nà cosa…».
Anche Raffaele Guarino, ex ras della Vanella Grassi, ora pentito, parla del movente dell’omicidio Stanchi. : “Mariano Riccio e Carmine Cerrato, che pren-devano le decisioni insieme, ingiuriarono Raffaele Stanchi perché a loro dire si era rubato tutti i soldi dei soci delle Case dei Puffi quand’erano Amato-Pagano e dissero che era loro volontà uccidere Raffaele Stanchi. Io dissi che anche noi della “Vinella” lo volevamo uccidere perché non si era mai comportato bene con noi, favorendo esclusivamente Arcangelo Abete. Poi l’incontro fini”. Le dichiarazioni di maggio dello scorso anno hanno riaperto le indagini sul duplice omicidio Stanchi-Montò. Guarino conferma quanto dichiarato dall’altro pentito Carmine Cerrato a proposito dell’omicidio di Fortunato Scognamiglio, ed ha permesso agli inquirenti di fare un ulteriore passo in avanti nelle indagini sull’uccisione di Raffaele Stanchi e Luigi Montò.
Ma Guarino fornisce agli inquirenti anche un quadro sulla nuova alleanza della “Vanella Grassi” e gli Amato-Pagano. La riunione decisiva si svolse a novembre del 2011 e il patto, firmato alle spalle degli Abete- Abbinante-Notturno, restò segreto fino al tentato omicidio di Giovanni Esposito “’o muorto”. Quel giorno, il 5 luglio 2012, furono arrestati i presunti responsabili del raid in via Roma-verso Scampia e tutti seppero che erano due affiliati ai Leonardi- Marino, anch’essi passati dall’accordo con gli Abete-Abbinante a volerne la morte. «In uno degli incontri con gli Amato-Pagano, svoltosi a Giugliano, c’erano Mariano Riccio, Carmine Cerrato “Tekendò”, Mirko Romano, Francesco Paolo Russo detto “Cicciariello” e Antonio Caiazza. Per la “Vinella Grassi” eravamo io e Gennaro Lucarelli- dice Guarino -. Si discusse della possibilità di stringere un’alleanza di nuovo e io dissi che non c’era alcun problema. Io infatti ne avevo già discusso con Antonio Mennetta e Fabio Magnetti, con i quali si era deciso che se gli Amato-Pagano ci avessero rifornito di cocaina, avremmo dato loro la possibilità di allearsi nuovamente con noi”.
Un altro partecipante al sequestro di Raffaele Stanchi e Luigi Montò fu Gianluca Giugliano, fino al pentimento esponente di spicco del clan Marino delle Case Celesti, al cui gruppo fa parte anche un altro destinatario dell’ordinanza di custodia cautelare: Francesco Barone. Il collaboratore di giustizia ha raccontato le fasi del rapimento. «Volevamo andare a prendere Raffaele Stanchi al “Bingo”, ma sapemmo che quella sera sarebbe rimasto a casa per vedere la partita del Napoli».
Giugliano spiega le fasi del sequestro e delle torture: «L’accordo era di tenerli in vita, anche se Luigi Montò dei due milioni di euro non sapeva niente e poteva morire. “Lello bastone” no, doveva darci i soldi e perciò volevano solo farlo parlare. Perciò lo chiudemmo in uno stanzino e cominciammo a picchiarlo. Lui ripeteva di non essersi preso niente: né per lui né per Arcangelo Abete. A un certo punto Fabio Magnetti perse la pazienza e gli sparò. Nel frattempo era già stato ucciso Montò».
L’interrogatorio fu pressante, ma infruttuoso. Raffaele Stanchi non crollò, anche perché forse le accuse non erano vere. In ogni caso, ripeteva “non è vero, non è vero”, pesto e sanguinante. Fino a quando fu portato all’esterno dell’abitazione, dove aveva lasciato il suo amico e autista Luigi Montò vivo. Invece, quando uscì, lo vide morto e svenne. “Allora Fabio Magnetti, che già nello sgabuzzino aveva perso la pazienza più volte, gli sparò”.







(nella foto di copertina il luogo dove furono ritrovati i due cadaveri)
Scafati: la Corte dei Conti chiede il processo per Aliberti, 5 assessori e la segretaria Di Saia
Progetti obiettivo e pagamento della produttività: la segretaria comunale Immacolata Di Saia confessa e il procuratore della Corte dei Conti chiede il rinvio a giudizio per politici, amministratori e dirigenti del Comune di Scafati. La segretaria ha “confessato”, dinanzi ai militari della guardia di finanza della compagnia di Scafati, che i progetti obiettivo elargiti nel 2008 ai dipendenti comunali compensarono il lavoro straordinario e che tutte le decisioni assunte per quell’anno, compresa l’adozione della delibera che stanziava il fondo, furono prese con l’accordo della giunta, del sindaco Pasquale Aliberti e dei dirigenti. Una pianificazione dell’illegalità, secondo la Corte dei Conti, che ha prodotto un danno erariale di circa settecentomila euro. «Ricordo che ci fu un accordo unanime tra me, la giunta e i capisettore incaricati della dirigenza dell’epoca – ha confessato Di Saia – per l’attuazione di quelle attività dichiarate a progetto obiettivo. In particolare era il sindaco Pasquale Aliberti e i rispettivi assessori che sollecitavano la compensazione al personale con le retribuzioni delle attività svolte fuori dall’orario di lavoro». Nel 2008 furono stanziati circa 500mila euro per pagare formalmente i progetti obiettivo, cioè quel lavoro finalizzato a produrre servizi aggiuntivi a quelli già erogati dai dipendenti pubblici. In realtà, si è scoperto, quel fondo fu utilizzato per pagare le ore di straordinario visto che non venivano calcolate come tali quelle in cui i dipendenti pubblici erano rimasti fuori dall’orario previsto. A luglio dello scorso anno era arrivato l’invito a controdedurre da parte del procuratore della Corte dei Conti, e ora lo stesso procuratore ha chiesto il rinvio a giudizio per il sindaco Angelo Pasqualino Aliberti, l’ex vicesindaco Giacinto Grandito, gli assessori Filippo Sansone, Mario Santocchio, Guglielmo D’Aniello, Stefano Cirillo e Cristoforo Salvati, la segretaria comunale Immacolata Di Saia, la dirigente Laura Aiello, l’ex dirigente dei servizi finanziari, Emilio Gallo, e i capisettore che richiesero i rispettivi finanziamenti per i dipendenti del proprio settore. Dinanzi alla Corte dei Conti dovranno presentarsi l’ex comandante dei vigili urbani, Carmine Arpaia, Anna Sorrentino, Maddalena Di Somma, Vittorio Minneci e Antonio Ariano del settore urbanistica, Nicola Fienga, dei servizi per il territorio. Addebiti contabili sono stati ipotizzati anche nei confronti del presidente dei revisori contabili, Angelo Santonicola, e dei componenti del collegio, Biagio Esposito e Antonio Martone: i tre vengono accusati di non aver svolto il controllo sulla contrattazione decentrata integrativa e non aver riscontrato l’illegittima composizione del fondo. (r.f.)
Ventitrè anni di carcere alla banda che da Barra faceva rapine in provincia di Salerno
Ventitré anni di carcere per la gang di rapinatori che da Barra commetteva le rapine in trasferta e in modo particolare nelle provincia di Salerno. E’ stato il gup Donatella Mancini del Tribunale di Salerno ad emettere ieri la sentenza a carico di Giovanni Pagano, Salvatore De Marco e Salvatore Limatola. Dalle indagini è emerso che la banda ha messo a segno otto colpi tra Salerno, Pontecagnano, Capaccio e Agropoli ma risultano indagati anche in altri colpi messi a segno nell’Avellinese e a Formia. I tre prendevano di mira i distributori di benzina e agivano sempre con la stessa modalità: due scendevano dall’auto armati e minacciano il titolare della pompa dei benzina per farsi consegnare l’incasso , il terzo invece era alla guida pronto per la fuga. la banda fu individuata lo scorso anno grazie alle indagini compiute dai carabinieri della compagnia di Battipaglia. Un lavoro meticoloso fatto di ricerca delle immagini dalle telecamere di video sorveglianza e poi il confronto con il data base dei pregiudicati napoletani.
Falso e peculato: sequestro da 3,5 mln a dirigenti e funzionari pubblici fra la Campania e Frosinone
Nella mattinata odierna, la Guardia di finanza di Caserta, sotto la direzione della Procura di Benevento, sta dando esecuzione a un decreto di sequestro preventivo di somme di denaro e beni mobili ed immobili, emesso dal gip del tribunale, nelle province di Napoli, Caserta, Benevento, Salerno e Frosinone, per un valore di 3,5 milioni di euro, nei confronti di sette soggetti, tra cui dirigenti e funzionari pubblici, indagati, a vario titolo, per i reati di peculato, falso ed abuso d’ufficio. I dettagli dell’attivita’ saranno forniti nel corso della conferenza stampa convocata, per le 11, dal procuratore Giovanni Conzo.
Rapinatori ‘pendolari’ in banche in Emilia e Lombardia: arresti a Torre del Greco e Napoli
Si sono resi protagonisti di di una decina di rapine in banca tra la Lombardia e l’Emilia-Romagna, compreso un colpo da 100.000 euro a Rio Saliceto, nel Reggiano. ‘Pendolari’ tra la Campania e il Nord Italia, sono stati arrestati dai Carabinieri con l’accusa di rapina aggravata in concorso: a finire in manette una donna 33enne e due uomini un 36enne un 40enne, tutti di Torre del Greco, nel Napoletano, e un altro uomo un 45enne di Napoli. Secondo quanto emerso dalle indagini la donna e i tre complici – alternandosi anche con altre persone – hanno compiuto, tra il 2014 e il 2015, rapine in diverse banche lombarde e emiliano-romagnole: una da 100.000 euro a Rio Saliceto, due a Milano, una a Forlì, una a Pescate, in provincia di Lecco, una a Bologna, due a Valsamoggia e una Crespellano, nel Bolognese. Ai quattro rapinatori i Carabinieri di Campagnola Emilia sono giunti grazie alle impronte digitali rilevate nella banca di Rio Saliceto, al sistema di video sorveglianza, all’analisi del sistema di videosorveglianza comunale di rilevamento targhe ed alle testimonianze delle vittime. Nel mettere a segno i propri colpi, il gruppo ha agito seguendo un copione definito: sequestro dei dipendenti e dei clienti e attesa dell’apertura della cassaforte temporizzata. Le indagini dei Carabinieri stanno ora proseguendo in concerto con gli organi investigativi del comando provinciale di Reggio Emilia per accertare se il quartetto di malviventi abbia compiuto, ulteriori colpi in altre filiali bancarie del Nord Italia.
Marcianise: sequestro beni di una società legata al clan Belforte
I carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale di Caserta hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo di 2 unità immobiliari e 4 posti auto nei confronti della società di costruzione Mical srl di Marcianise di proprietà di MINUTOLO Sebastiano, MAZZARELLA Giovanna MINIZOLO Franco (quale socio occulto della predetta compagine societaria). Il provvedimento è stato emesso dal gip di Napoli su richiesta della Dda partenopea a seguito di una complessa indagine che ha accertato attività di usura e intestazione fittizia di beni a carico del clan camorristico Belforte. Nel corso delle indagini – corroborate dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Camillo Belforte, figlio del capo clan Salvatore, che ha confermato l’impianto accusatorio – è stata accertata l’attività usuraia di esponenti del clan che avevano prestato 300mila euro ai titolari della Mical ottenendo a garanzia e pagamento la disponibilità degli immobili, oggi sequestrati, per un valore di 700mila euro. Di qui il reato di intestazione fittizia di beni che serviva per eludere l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniale in danno degli esponenti dell’organizzazione camorristica. La svolta dell’indagine della Dda è avvenuta quando nel corso di una perquisizione della casa di Bruno Bottone, ritenuto esponente di rilievo e cassiere del clan, è stata ritrovata la contabilità dell’organizzazione criminale. La misura cautelare in argomento, trae origine da complessa indagine che consentiva di accertare come il sodalizio camorristico dei BELFORTE, a mezzo dei suoi esponenti apicali, avesse praticato tassi usurari ad un prestito di euro 300.000 circa effettuato ai predetti imprenditori della Società di costruzione. ottenendo a garanzia e pagamento dello stesso la disponibilità dei summenzionati appartamenti e posti auto da valore complessivo di oltre 71.10.1X» curo. in tal modo comminando la fattispecie delittuosa, oltre che di usura, anche di intestazione fittizia di beni, utile ad eludere l’applicazione di misure di prevenzioni patrimoniale in danno di esponenti dell’organizzazione camorrista in esame. In particolare, seppure formalmente ancora intestati alla MICAL srl, gli appartamenti erano posti a reddito a beneficio dell’organizzazione criminale, reale titolare del bene. Nonostante l’assenza di collaborazione da parte delle vittime, le indagini. coordinate dalla Procura della Repubblica di Napoli – D.D.A. venivano avviate nell’amo 21:07, a seguito di una perquisizione all’interno dell’abitazione di BOTTONE Bruno, esponente di spicco de: sodalizio e cassiere del Clan in argomento, ore era possibile rinvenire l’intera contabilità dell’organizzazione, addivenire quindi all’individuazione di parte del patrimonio occulto de gruppo criminale e procedere ai relativi sequestri. Nel merito, nel corso della summenzionata perquisizione, venne rinvenuto Paranco degli imprenditori soggetti ad usura cd estorsione, nonché la lista degli affiliati ai relativi stipendi, il tutto annotato criptamente con complessi codici identificativi, che solo la conoscenza del territorio e dell’organizzazione criminale da parte degli inquirenti rendeva possibile decifrare. Le indagini venivano da ultimo corroborate dalle dichiarazioni rese dal Collaboratore d Giustizia BELFORTE Camillo, figlio del Capo Clan Salvatore, il quale nel render. dichiarazioni auto ed etero accusatorie confermava l’intero impianto investigativo contribuendo all’individuazione di altri beni per cui sono in cono ulteriori indagini.
Napoli, arrestato 45enne: lasciava messaggi a sfondo sessuale sotto la porta di casa di una 15enne
Preoccupati dai numerosi bigliettini dal contenuto a sfondo sessuale che si vedevano recapitare sotto la porta di casa, una coppia di genitori si è appostata e, con l’aiuto di alcuni condomini, ha sorpreso, bloccato e fatto arrestare dalla Polizia il molestatore della figlia di 15 anni. E’ successo la scorsa notte a Napoli. In carcere, con l’accusa di atti persecutori ai danni di una minorenne, è finito un uomo di 45 anni, a cui viene contestato anche il reato di adescamento. Eloquenti e preoccupanti i messaggi, almeno una decina, che l’uomo inviava all’adolescente. Gli agenti dell’Ufficio Prevenzione Generale della Questura di Napoli, hanno accertato che l’uomo, da qualche mese, lasciava in maniera anonima i bigliettini sotto la porta dell’appartamento. Messaggi con i quali chiedeva anche incontri sessuali alla minorenne. Il 45enne è stato chiuso nel carcere napoletano di Poggioreale.
Anche gli Amato volevano uccidere Mallo. Ecco le intercettazioni
Il boss Carlo Lo Russo prima del suo arresto era disposto a tutto pur di mettere fine all’ascesa criminale di waleter Mallo. Ma ci ha pensato lo Stato sia per lui e i suoi fedelissimi sia per il ras emergente della don Guanella. Tutti in carcere. E per il momento, si spera, armi deposte. “Carluccio” aveva deciso di uccidere Mallo e addirittura aveva chiesto una mano a quelli del gruppo Amato di Secondigliano che hanno il quartier generale a Melito. Ci sono le intercettazioni telefoniche che lo confermano. I suoi fedelissimi Ma- riano Torre e Domenico Cerasuolo detto “Nico” (tutti in carcere per l’omicidio di Pasquale Izzi) cercavano in giro il 27enne ras del don Guanella, Paolo Russo “a’ patana” e Vincenzo Danise. Dalle registrazioni si evince anche l’intenzione dei “mianesi” di andare a sparare sotto l’abitazione della madre del giovane nemico di camorra. Quindi Carlo Lo Russo e il suo gruppo di fuoco, composto da nipoti e fedelissimi, avevano deciso di chiudere i conti con i Mallo, senza possibilità di una mediazione, quando il neonato gruppo aveva cominciato a compiere scorribande armate davanti a donne e bambini come quella della domenica delle Palme nel mercatino alla don Guanella. Il gruppo di mallo aveva anche fatto fuoco contro il palazzo. Un affronto da o punire assolutamente, secondo il ras dei “Capitoni”.
Ecco il testo delle intercettazioni
Carlo Lo Russo: «eh Nico do- ve sei stato ieri?».
Nico: «’o zio” sono stato qua intorno».
Carlo: «questo mi ha rotto il cazzo…nel don Guanella…mò ci faccio terra bruciata …a questo!».
Nico: «eh».
Carlo: «quello ieri..è venuto un’altra volta qua per venirci a sparare».
Nico: «è…».
Carlo: «fuori al Messico…Mò ti faccio vedere cosa succede a tutti quanti dentro il don Guanella. Mò Walter il cazzo me l’ha scassato..».
Nico: «in verità lo videro ieri fuori al Messico».
Carlo: «ma dove ha sparato fuori al bar?».
Nico: «ma no..non ha sparato» Carlo: «come..sparò».
Nico: «solo lui?».
Carlo: «e…».
Nico: «davvero? Io pensavo solo che…».
Carlo: «no..sparò…una, due botte».
Nico: «….(incomprensibile, ndr) tutto…quello che stava insieme ai Vastarella….stava il figlio di Girolamo..».
Carlo: «sono venuti un’altra volta all’una e mezza…mò mi ha scassato il cazzo sto Wal- ter….mò…..mi….sotto il pa- lazzo della mamma bum bum bum sparo venti volte».
«Sta bordello. Stu guaglione sta creando bordello. I guaglioni (gli spacciatori) non vendono. Non stanno lavorando proprio perché si mettono paura di questo scemo, sto Walter.
Questo drogato di merda da dove è uscito? Mo’ gli faccio vedere io il terrore. La vuoi così la guerra? E la facciamo c sì. Mo’ ci faccio terra bruciata….quelli di Melito si sono offerti di darmelo su un piatto d’argento».
Gli interlocutori annuiscono e Carlo riprende: «questo guaglione, vorrei solo avere il piacere di vederlo.
Prima che muore. Gli devo dare due schiaffi. Dico: mannaggia la madonna, non hai capito niente della vita? È morto lo zio tuo… tuo padre non si è trovato più…».
Napoli: l’ex puglie Ciotola ucciso a Bagnoli aveva sfidato chi lo aveva minacciato: “V aggia sega e corn”
L’omicidio dell’ex pugile Luca Ciotola detto “Ciocio” avvenuto a Bagnoli l’altra notte potrebbe essere la vendetta del clan Vastarella della Sanità, tramite alleati dell’area flegrea, per l’amicizia con il ras Walter Mallo o un vecchio conto in sospeso collegato ai suoi precedenti penali. Ma anche, visto la zona, la risposta dell’alleanza Sorianiello-Giannelli-Romano al ferimento del figlio del boss Alessandro Giannelli avvenuto domenica sera a Fuorigrotta. Sono queste le piste seguite dagli investigatori per spiegare l’omicidio, compiuto con il classico stratagemma del controllo di finti carabinieri ai detenuti agli arresti domiciliari. I due sicari gli hanno sparato in faccia appena ha aperto la porta di casa, in cupa vicinale Terracina. Con il pregiudicato in casa c’erano gli anziani genitori ai quali è toccato vedere la straziante scena del figlio immerso in una pozza di sangue sull’uscio di casa. “Vi siete permessi di minacciarmi dicendo che sparavate in testa a mio figlio… siete inutili v aspett senp ca v aggia sega e corn”, aveva posta sul suo profilo facebook il 27 aprile scorso postando una sua foto con una sega in mano. Ma l’altra notte i killer hanno posto fine alla sua vita sopra le righe. Era uno che non chinava la testa l’ex pugile, rapinatore. ma non aspettava certo che killer bussassero addirittura alla sua porta visto che poche ore prima aveva scritto sempre sul suo profilo facebook ” buone notizie”. Ora gli investigatori stanno scandagliando la sua vita e cercando anche attraverso il computer e il telefono eventuali tracce che possa portare a chiarire il suo omicidio.