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La Corte di Cassazione ha definitivamente can- cellato la condanna all’ergastolo per Marco Di Lauro, il boss “fantasma” dell’omonimo clan ricercato da dodici anni. La Suprema Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso della Procura di Napoli per l’omicidio di Nunzio Cangiano, crivellato di proiettili al Magic World nell’agostyo del 2007. Di Lauro era stato condannato il primo grado al carcere a vita mentre in appello era stato assolto. Nell’udienza davanti alla Cassazione i suoi avvocati difensori (Gennaro e Carlo Pecoraro) hanno dimostrato l’inattendibilità del racconto dei collaboratori di giustizia. E’ già il secondo ergastolo che il figlio di Ciruzzo ‘o milionario riesce ad evitare: era stato condannato in primo grado all’ergastolo e assolto anche dall’omicidio di Attilio Romanò, vittima innocente della faida del 2004. Ora la caccia alla “primula rossa” numero uno della camorra campana da parte degli investigatori continua. Quando due settimane fa improvvisamente si era diffusa la voce della cattura anche di Marco Di Lauro qualcuno aveva pensato che lo Stato aveva ottenuto una doppia clamorosa vittoria nella lotta al crimine. Ma già la cattura di Umberto Accurso è stato un risultato importantissimo per le squadre speciali di polizia e carabinieri addestrate per la ricerca dei latitanti. Ora sono tutti concentrati sul giovane “fantasma” figlio di Ciruzzo ‘o milionario, introvabile oramai da 12 anni. E quella sua figura da ragazzino che lo ritrae nella foto segnaletica presente negli archivi ufficiali della polizia ora che di di anni ne ha 36 è cambiata sicuramente. Sulle sue tracce c’è anche l’Interpol visto che c’è anche unUna leggenda popolare vuole che con il suo corpo esile spesso il latitante sia tornato nella sua Secondigliano travestito da donna. Ma Marco Di Lauro da quando si è reso uccel di bosco si accompagna con la sua fidanzata o meglio la sua donna. Una che viene dal Perrone, una delle zone di Secondgliano. Secondo le voci che si sono rincorse in questi anni di sua latitanza c’è ne una confermata dagli stessi investigatori che vuole la presenze del figlio di Ciruzzo ‘o milionario a Secondigliano dopo l’omicidio di Antonello Faiello avvenuto nell’aprile del 2011. Marco dI Lauro ebbe un incontro chiarificatore con Umberto Accurso della Venella Grassi perché già c’erano stati troppi morti e in giro la presenza delle forze dell’ordine era massiccia e poi molti affiliati ai due clan uscivano poco per il timore di essere ammazzati. Marco Di Lauto usò tutta la sua diplomazia per far capire a Umberto Accurso che non era più il caso di continuare coni morti. La faida si fermò e Di Lauro potè riprendere la sua vita da latitante. Si sarebbe spostato grazie alla disponibilità economica e quindi alla possibilità di “comprare” complicità e coperture in molti paesi europei tra cui Francia, Spagna, Germania e perfino in Canada dove ci sono presunti complici. Ma la caccia continua e lo Stato non molla.
Torre del Greco. Gara d’appalto pilotata per le luminarie natalizie: scattano i sequestri e le perquisizioni. Tre gli indagati nell’inchiesta della Procura di Torre Annunziata, per turbativa d’asta, che sono stati raggiunti nei giorni scorsi da un avviso di garanzia. si indaga sul dirigente del settore urbanistica, Mario Pontillo e sugli imprenditori delle due imprese che si sono aggiudicati la fornitura e l’installazione delle luminarie, Antonio Criscuolo e Ciro Savio. Nei giorni scorsi, i carabinieri di Torre del Greco, guidati dal maggiore Michele De Rosa, hanno fatto le prime acquisizioni presso il Comune su delega della Procura di Torre Annunziata. Le verifiche hanno indotto al sequestro sia delle luminarie che della documentazione per l’aggiudicazione dell’appalto complessivo di 100mila euro. L’accusa contestata è turbata libertà degli incanti in concorso, riconducibile proprio allo svolgimento delle due gare d’appalto con le quali l’amministrazione comunale di Torre del Greco ha affidato l’incarico. La gara è quella iniziata a novembre scorso, già oggetto di polemiche da parte dell’opposizione del sindaco Ciro Borriello. La prima gara per una cifra di 60mila euro sarebbe dovuta bastare per l’installazione delle luci natalizie sull’intero territorio, ma così non fu e l’amministrazione fu costretta ad indire una seconda gara d’appalto per una cifra di 40mila euro, affidando ad un’altra ditta i lavori per l’illuminazione della zona di Santa Maria la Bruna e della periferia. La Procura sospetta che sia stata seguita una procedura anomala con appalti sotto soglia per favorire le ditte incaricate dei lavori.
Il boss Carlo Lo Russo aveva fatto una “black list” con i nemici da eliminare. Il suo arresto insieme a quello della moglie e del suo gruppo fuoco e poi di Walter Mallo e dei suoi fedelissimi e ancora quella degli Esposito-Genidoni ha fermato una escalation criminale che minacciava di lasciare sul terreno decine di morti. Lo si evince dai nuovi atti in mano alla Dda di Napoli e che sono stati allegati al fascicolo dell’inchiesta sull’omicidio del rapinatore seriale Pasquale Izzi ucciso a marzo in via Janfolla sotto casa del boss Lo Russo. Ci sono altre intercettazioni in cui si parla delle vittime designate del clan dei “capitoni”. Uno in particolare: è il boss Ciro Stabile nemico storico dei Lo Russo protagonista in negativo di una sanguinosa faida agli inizi degli anni Duemila con decine di morti tra cui quello clamoroso del giugno 2004 in stile “Crime” americano in cui la vittima Giuseppe D’Amico, fedelissimo di Stabile, fu ucciso in tangenziale mentre era a bordo di un’ambulanza per recarsi in ospedale. In una delle tante intercettazioni ambientali registrate dalla famosa cimice a casa Lo Russo ( che ha permesso il suo arresto) si sente: “questo dopo 18 anni è uscito anche lui…hai visto? Ciro Stabile…Adesso per prenderlo questo…si nasconde… questo, non si fa acchiappare”. Il boss parla con la moglie e spiega di aver coinvolto anche i Licciardi della Masseria Cardone attarverso tale Renato Esposito uomo di fiducia del clan di Secondigliano: “…sono andato a cercarlo per mezzo di questo…”. Esposito avrebbe garantito ai Lo Russo tutto l’impegno del clan attraverso Maria ‘a scigna “… per fargli un regalo…Stamattina ho mandato a Giulio da quelli della Masseria Cardone, da questo Renato che ora è uscito….Carlucciello ti manda un bacio con una imbasciata: è uscito questo di Marianella… è un nemico suo giurato…chiunque lo appoggia e un nemico suo personale. e quello ha detto: diccelo a Carlucciello se noi lo pigliamo prima noi, glielo facciamo noi il favore a lui…noi non lo possiamo appoggiare. Il compagno nostro è lui”. Poi Anna Serino, la moglie di Carlo Lo Russo, dopo aver ascoltato il racconto del marito con voce ferma e decisa replica: “Lo devi uccidere!”.
Gli agenti della Polizia di Stato del Commissariato San Giovanni Barra, hanno arrestato ieri pomeriggio un 38enne pregiudicato del Quartiere Barra, ritenuto responsabile del reato di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. I poliziotti lo hanno sorpreso mentre spacciava nei giardinetti di Via Fabio Giordano. In seguito alla perquisizione il pregiudicato è stato trovato in possesso di circa 30 grammi di hashish che nascondeva all’interno del tronco di un albero. Successivamente i poliziotti hanno sottoposto a perquisizione domiciliare la sua abitazione dove hanno trovato una pianta di marijuana coltivata in vaso. L’uomo è stato pertanto arrestato e subito condotto presso la Casa Circondariale di Napoli – Poggioreale.
Controlli dei carabinieri a Napoli contro la criminalita’ e l’illegalita’ diffusa; sequestrate armi da guerra e un migliaio di dosi di ogni tipo di droga. Il servizio a ‘largo raggio’ ha interessato l’area Nord (i quartieri di Miano e Scampia) e fenomeni d’illegalita’ diffusa nel centro storico cittadino. Nel blitz in una ‘piazza di spaccio’ di Scampia, nel complesso di edilizia popolare del lotto P, area sotto l’influenza del gruppo della Vanella Grassi, sequestrate135 dosi di eroina, 14 di cocaina, 75 di crack e 24 di kobret, in vari nascondigli (in una fessura tra tetto e tubatura idrica, su un ballatoio, nelle aiuole antistanti l’insediamento popolare). Nella ‘piazza di spaccio’ nel complesso di edilizia popolare delle Case celesti, anche questa sotto l’influenza della Vanella, sequestrate 487 dosi di eroina, 317 di cocaina, 30 di crack. Trovata anche una mitraglietta semiautomatica M4 parabellum, con 29 proiettili nel caricatore, una pistola semiautomatica da guerra con 8 proiettili nel caricatore e 20 proiettili calibro 9, nascoste in un vano ascensore dietro un muretto di recente realizzazione.
Incidente, senza conseguenze, stamattina, per un bus dell’Anm (Azienda Napoletana Mobilità) sulla tangenziale di Napoli che, sulla rampa di uscita Camaldoli della tangenziale, ha perso un portellone posteriore. Fortunatamente il pezzo, lungo un metro e mezzo, non ha provocato danni ai veicoli che seguivano. Il conducente ha attuato le procedure di sicurezza, ha recuperato il portellone, per evitare pericoli, e poi ha ripreso la corsa portando a destinazione la decina di passeggeri che aveva a bordo. Il bus, è stato portato poi in deposito, per le riparazioni. “Quello di stamattina – dice Vincenzo Lucchese, del coordinamento provinciale Usb – è un fatto estremamente grave che mette nuovamente in luce la questione manutenzione e le importanti ricadute sulla sicurezza dell’esercizio e dei lavoratori. Bisogna che il sindaco intervenga in prima persona per verificare inadempienze nella gestione delle manutenzione da parte dei dirigenti e funzionari”.
Gli agenti della Polizia di Stato del Commissariato Afragola, hanno arrestato un 39enne di Cardito perché ritenuto responsabile di detenzione di sostanza stupefacente ai fini dello spaccio. L’uomo era da tempo sospettato di aver organizzato a Cardito una vera e propria piazza di spaccio presso l’abitazione della defunta madre. Nella tarda serata di ieri, i poliziotti hanno effettuato, alla sua presenza, una perquisizione domiciliare e all’interno di un tubolare di una tenda esterna hanno infatti trovato 10 dosi termosaldate di cocaina ed in un vaso di plastica hanno invece trovato circa 35 grammi di marijuana. La sostanza stupefacente è stata sequestrata e l’uomo arrestato.
E’ stata fissata per il 20 giugno prossimo l’udienza preliminare davanti al gup Umberto Lucarelli del tribunale di Napoli nella quale si deciderà se mandare a processo il boss del Vomero Luigi Cimmino e i suoi fedelissimi. Si tratta del genero Pasquale Palma, Raffaele Montalbano (suo fido braccio destro) e Luigi Festa e Pellegrino Ferrante. Sono tutti accusati di associazione per delinquere di stampo mafioso e due tentate estorsioni. Una in danno di un’impresa che stava realizzando i lavori di ampliamento dello svincolo della Tangenziale “Zona ospedaliera” e l’altra nei confronti di una ditta che stava realizzando i lavori di ristrutturazione dell’ospedale Cotugno. E’ stato il pm della Dda di Napoli, Enrica Parascandolo, a chiedere il rinvio a giudizio dei cinque e a firmare la chiusura indagini. agli atti dell’inchiesta c’è la denuncia del titolare della ditta e una ripresa audio-video relativa a un incontro tra Pasquale Palma e alcuni affiliati legati al clan Polverino di Marano nel garage dell’ospedale Santobono in cui i “maranesi” chiesero conto perché la cosca del Vomero chiedeva tangenti a una ditta che loro conoscevano. Dopo questo episodio scattarono gli arresti. Il boss Cimmino e il genero però furono scarcerati dal Riesame e si resero latitanti. Sono stati poi arrestati, il boss a Chioggia il 5 marzo scorso e il genero a Napoli.
Il clan Fabbrocino di San Giuseppe Vesuviano ha sempre avuto il controllo totale degli appalti nella cosiddetta zona Vesuviana Nord a partire da Poggiomarino fino ad Ottaviano con appoggi e “permessi” anche nei comuni di Somma Vesuviana e sant’Anastasia. Una ulteriore dimostrazione della sua capacità penetrativa nel tessuto imprenditoriale della zona lo si è avuto leggendo le pagine dell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato in carcere nelle scorse settimane ventini affiliati ai clan D’Avino e Anastasio. Nell’ordinanza ci sono i racconti del pentito, Fabio Caruana, ex D’Avino e poi passato con i Sarno di Ponticelli. “Il boss degli Anastasio organizzò un incontro con il referente dei Fabbrocino a San Giuseppe, un certo Belardo, comandava lui. nell’incontro avremmo dovuto parlare dei lavori di ampliamento della superstrada 268 e precisamente per i lavori tra Sant’Anastasia e Cercola. Avrei dovuto interessarmi io dell’affare per non fare avere problemi alle ditte: ma l’estorsione a queste ditte era stata già chiusa da quelli di san Giuseppe e non volevano fare brutta figura a loro per questo dovevo chiedere a quelli di Cercola di non disturbare le ditte”.
(nella foto il boss Mario Fabbrocino ‘o gravunaro)
Tra bestemmie, maledizioni, minacce e qualche applauso anche gli ultimi componenti della famiglia Sarno hanno lasciato Ponticelli. L’ultimo è stato l’anziano genitore di quello che ormai viene etichettato come il “clan dei pentiti” e che uno volta era invece guidato da Ciro Sarno “Il sindaco” di Ponticelli. La ex potente cosca con collegamenti ai Quartieri Spagnoli con i Mariano, a Secondigliano con i Licciardi e con estensioni nei comuni della provincia come Cercola e Volla, ha alzato bandiera bianca. Con il padre dei pentiti, che di recente aveva avuto assegnato una casa popolare a Ponticelli, sono andate via anche le altre due figlie con le rispettive famiglie. Il timore di attentati e ritorsioni dopo i fatti di sangue da inizio anno ad oggi hanno indotto tutti quelli che avevano legami con i Sarno a lasciare il quartiere. Tra poco inizieranno i processi in cui i pentiti dovranno confermare in aula le accuse contro una serie di clan napoletani. Grazie appunto alle loro confessioni che si trovano in carcere molti esponenti della vecchia camorra napoletana. E la vendetta nel corso degli ultimi mesi si è abbattuta sui familiari e su tutti quelli che avevano avuto legami con i Sarno. Da inizio anno ci sono stati gli omicidi di Davide Montefusco, Mario Volpicelli, Giovanni Sarno (ultimo dei fratelli rimasti nel quartiere) e Manlio Barometro (il vigile urbano incensurato che in passato aveva avuto contatti con i Sarno. Poi il mese scorso addirittura un attentato incendiario a casa della mamma del pentito Raffaele Cirella. Solo l’intervento dei vigili del fuoco riuscì a salvare la donna da una morte sicura.Da allora era scattato il coprifuoco nel quartiere con la decisione da parte della Procura antimafia, d’intesa con il ministero dell’Interno di far scattare un nuovo piano di protezione. E così nel corso degli ultimi due mesi quasi quaranta famiglie sono andate via da Ponticelli. Ultimo il padre e le figlie. E ora nel quartiere c’è più tranquillità.
Si legano a doppio filo le inchieste sulla criminalità organizzata e il clan Loreto-Ridosso e le vicende politico-amministrative dell’ultimo decennio al Comune. Si legano perché la cosca silenziosa capeggiata da Romolo Ridosso e dai suoi rampolli, compreso Alfonso Loreto, è riuscita a entrare nel complesso mondo di politica, favori e appalti grazie ad alcuni personaggi che con la camorra sono andati a braccetto. È questo quello che racconta Alfonsino dal carcere, in regime protetto. È per questo motivo che Loreto, pentito dell’ultima ora, è legato a due inchieste che procedono su binari che si intrecciano in più punti. E sì perché i favori, le raccomandazioni e i posti di lavoro o gli appalti in cambio di voti, ma anche le tangenti non sono mancate in questi ultimi anni a Scafati. Tre verbali zeppi di particolari stanno mettendo a dura prova gli inquirenti costretti a interrogatori e verifiche per accertare la veridicità di quanto il giovane figlio di Pasquale Loreto ha raccontato. Procedono a ritmo serrato e si intrecciano le inchieste dei sostituti Russo e Cardea da un lato e quella di Montemurro dall’altro. Sulla prima sono al lavoro gli uomini del Reparto territoriale e della Dia, sull’altra – insieme ai carabinieri – la commissione di accesso che si è insediata a marzo al Comune per verificare le infiltrazioni della camorra. Loreto che elenca decine di nomi di vittime e complici, nei tre verbali già depositati, ha parlato davvero molto. Tira in ballo il ruolo di vecchi e nuovi pregiudicati che in cambio di posti di lavoro sono diventati galoppini politici del centrodestra. E grazie a questo aiuto si sono inseriti, attraverso cooperative o anche singolarmente, in lavori socialmente utili. Nel mirino le partecipate del Comune di Scafati: Acse, Scafati Sviluppo, Scafati Solidale e attraverso quest’ultimo ente il Piano di Zona S1, di cui Scafati è capofila. Il capitolo sugli appalti pubblici è ancora coperto dal segreto e da quegli omissis che celano i segreti di un decennio. Nei suoi verbali, il collaboratore di giustizia spiega come il clan Loreto-Ridosso ha fatto affari e ha imposto tangenti. È spiega anche come personaggi molto noti in città hanno tratto benefici dal clan. La cosca è riuscita a ritagliarsi uno spazio nel sistema tangenti e appalti rispetto a clan di altre province. I Ridosso-Loreto hanno spartito la grossa torta delle tangenti con i Casalesi. (r.f.)
– I finanzieri del Comando Provinciale di Napoli, sotto il coordinamento e la direzione della Procura della Repubblica di Torre Annunziata, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dall’Ufficio G.i.p. del predetto Tribunale, nei confronti di un 38enne di Pompei indagato per detenzione illecita di armi e per ricettazione. L’indagine scaturiva a seguito di una perquisizione, effettuata d’iniziativa dalla Guardia di Finanza di Scafati congiuntamente a quella di Torre Annunziata, ed eseguita presso un’abitazione disabitata di Poggiomarino, riconducibile alla persona arrestata ed a due suoi familiari. Nel corso dell’attivita’ veniva rinvenuta una cassaforte, la quale non si apriva con la chiave fornita dall’indagato. Per tale motivo si procedeva all’apertura coatta richiedendo l’intervento di un fabbro. All’interno veniva trovata una pistola Taurus, calibro 22 con matricola abrasa, il relativo munizionamento nonche’ una pistola scacciacani priva di tappo rosso. La successiva ispezione, estesa anche all’effettiva abitazione dell’indagato, consentiva ai finanzieri di trovare la vera chiave della cassaforte e di ottenere la conferma che l’arma in questione fosse effettivamente nella disponibilita’ dell’indagato. La Procura della Repubblica oplontina, a conclusione delle indagini e visti i gravi indizi di colpevolezza, avanzava apposita richiesta di misura cautelare personale nei confronti dell’indagato, accolta dall’Ufficio G.i.p. del Tribunale ed eseguita dai militari del Gruppo di Torre Annunziata.
La nuova guerra di camorra a Napoli ai tempi dei social. E’ l’evoluzione tecnologica dei criminali 3.0 a cui si sono adeguati anche i vecchi boss che controllano il social network più utilizzato al mondo per scoprire segreti sui nemici. Lo hanno fatto il boss Carlo Lo Russo e sua moglie Anna Serino intercettati da una cimice nella loro abitazione. I nuovi dialoghi tra i due a casa del boss in via Janfolla a Miano ma anche con altri affiliati sono ora depositati agli atti del Riesame che dovrà valutare la richiesta di scarcerazione della donna catturato insieme con il marito e altri due affiliati un mese perché considerati mandanti ed esecutori materiali dell’omicidio del rapinatore seriale Pasquale Izzi ucciso proprio sotto la loto abitazione nel marzo scorso. ebbene da quei verbali si evince di come il boss cercava i nemici attraverso facebook. Ecco alcuni dialoghi tra Lo Russo e la moglie: “…vedi qualche cognome”, dice il boss alla donna. E le replica: “Il nome di qualcuno che tu sai?”. Lo Russo: “….come si chiama?…Genidoni… Genidoni…”. Anna Serino: “… aha Genidoni…lo sono chi sono… ma questa non fa Genidoni”. I due che sono in casa insieme con altri affiliati continuano a spulciare i profili su facebook e si imbattono in quello di Francesco Spina, uno dei “barbudos”, che è il genero del boss Pierino Esposito ucciso alla sanità nel novembre del 2015. “…Guarda che sta scritto…siamo grandi e comandiamo tutti insieme… rispetto per le Case Nuove…”. E ancora la ricerca social continua: “ferma, ferma, guarda… guarda qua” , e a quel punto Anna Serino dice che bisogna contare i “like” sui profili: “… vedi dove si infila… a chi piace…le persone che hanno scritto mi piace”. E’ questa l’evoluzione 3.0 della nuova camorra napoletana.
Dalle indagini sulle scommesse truccate sono emersi “elementi concreti” e “le dazioni di denaro sono state provate”, ciò in base alle dichiarazioni raccolte dagli inquirenti e al contenuto di sms e conversazioni telefoniche intercettate. Lo ha detto il procuratore aggiunto di Napoli, Filippo Beatrice, coordinatore della Dda, a proposito dell’inchiesta su calcio e camorra.“C’è un’area grigia che si interfaccia con i criminali”. Lo ha detto il procuratore aggiunto di Napoli, Filippo Beatrice, coordinatore della Dda, a proposito del coinvolgimento di calciatori, accusati di aver alterato l’andamento di alcune partite di serie B, nell’indagine sul clan “Vanella Grassi”. “Vi sono alcuni soggetti – ha aggiunto – che non giocano solo a pallone ma coltivano relazioni per ottenere informazioni e realizzare illeciti”. Arresti domiciliari per l’ex calciatore del Casalnuovo e del Nola, Luca Pini e per il centrocampista dell’Acireale, nella stagione 2013-2014 dell’Avellino, Francesco Millesi. Sono loro per il gip di Napoli, Ludovica Mancini i ‘facilitatori’ delle combine per le partite di Serie B dell’Avellino truccate dal gruppo camorristico della Vanella Grassi; entrambi devono rispondere di concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso. A metterli nei guai, proprio le dichiarazioni del boss Antonio Accurso, arrestato nel 2014 insieme ad altri affiliati per l’omicidio dei fratelli Matuozzo, mentre festeggiava le ricche quote intascate dal clan per la vittoria dell’Avellino sulla Reggina, una delle due partite (l’altra e’ Modena-Avellino) valevoli per il campionato cadetto e nelle quali il clan aveva deciso di investire e riciclare ingenti somme di denaro, alterandone il risultato. Ma la cosca aveva cercato di orientare il risultato anche di Avellino-Trapani, progetto questo fallito, cosi’ come quello per Padova-Avellino, interrotto proprio dall’arresto di Accurso. A far da tramite tra il clan e il mondo del calcio, sarebbe stato il difensore del Genoa, Armando Izzo, in passato anche lui nell’Avellino, che e’ nipote di Salvatore Petriccione, uno dei fondatori del gruppo attivo nei quartieri nord di Napoli.
Un giovane di Meta è morto in Francia in un incidente stradale. La vittima si chiamava Antonio Staiano e aveva 27 anni. Si trovava in Francia per far visita al padre e aveva colto l’occasione per assistere a una gara di rally. sulla strada del ritorno verso la casa del padre si è scontrato con la sua moto contro un’auto che transitava in senso opposto ed è morto sul colpo. Antonio Staiano, 27 anni, dipendente di una compagnia di navigazione locale. Il giovane, conosciuto in paese come “Sonny”, è morto sul colpo. Ora si attende che le autorità francesi autorizzino il rientro della salma in Italia. Dopo aver terminato gli studi all’istituto nautico “Nino Bixio” di Piano di Sorrento, Staiano aveva trovato posto in una nota compagnia di navigazione sorrentina. E aveva sempre coltivato l’interesse per i motori e per la velocità: una passione che, questa volta, gli è risultata fatale.
E’ in un interrogatorio del 25 febbraio 2015 che il pentito Antonio Accurso parla per la prima volta con i magistrati della Dda di Napoli delle presunte combine delle partite di calcio. “Io in prima persona – si legge nel verbale – ho influito sui risultati delle seguenti partite di calcio: serie B campionato 2013-2014, Modena-Avellino del 17.5.2014 e Avellino-Reggina del 25 maggio 2014”. “Un giocatore dell’Avellino, e prima ancora della Triestina, Armando Izzo – racconta – è un nostro parente, essendo nipote di Salvatore Petriccione (uno dei fondatori del clan Vinella Grassi, ndr). Già quando militava nella Triestina, vi fu un abbozzo di combine in cui mio fratello Umberto, accompagnato da Mario Pacciarelli, andarono a Trieste sapendo che la società non pagava gli stipendi ai giocatori per vedere se si poteva far qualcosa, ma senza risultato. A marzo-aprile del 2014, si presentarono da noi Armando Izzo e un certo Pisacane, anche lui giocatore dell’Avellino, famoso per aver rinunciato a 50mila euro per vendersi una partita, cosa che divenne pubblica e che portò il presidente della FIFA Blatter a conferirgli un premio. Io li stimolai per sapere se vi era la possibilità di combinare qualche partita dell’Avellino, anche se era già il girone di ritorno inoltrato. Dissero che era molto difficile coinvolgere tutta la squadra; allora, poiché si trattava di due difensori titolari, chiesi loro se era possibile subire solo un gol, sul quale potere scommettere. Pisacane si rifiutò dicendo che lui queste cose non le faceva ed era stato anche premiato per il suo comportamento sportivo. Izzo si mostrò più disponibile, ma non lo fece davanti al Pisacane”. “Poi – aggiunge il collaboratore di giustizia – vi è Luca Pini, altro giocatore delle giovanili dell’Avellino, la cui famiglia è della 167. Pini è amico di Salvatore Russo, detto Geremia. Geremia chiama mio fratello Umberto e gli dice che Pini gli aveva detto che Millesi, uno dei giocatori più influenti dello spogliatoio dell’Avellino, voleva parlare con noi della Vinella Grassi”. Il primo incontro fu alla vigilia della partita Cesena-Avellino “ma non si concluse nulla”. “Vi fu un altro incontro alla vigilia di Avellino-Trapani e sempre non si concluse nulla, non so di preciso perché, anzi posso dire che forse mio fratello era un po’ timido nel dire apertamente quanto volessero per vendersi la partita”. “Ci fu poi un terzo incontro – continua Accurso – il 14 maggio 2014, giorno della finale di Europa League Benfica-Siviglia, alla trattoria La Casereccia di Casoria, presenti io, mio fratello, Geremia, Pini e Millesi; quando io iniziai un discorso chiaro, andando al sodo, Millesi mi disse chiaramente che Castaldo ed altri giocatori che avevano il suo stesso procuratore facevano quello che lui diceva; io gli dissi che noi avevamo Izzo che era disponibile e Millesi mi disse allora che l’unico da convincere era il portiere, Seculin. Pini fece venire anche Izzo sul posto, valutammo la quota della partita e mi chiesero quanto potevo dare in contanti per ‘compromettere’ la partita successiva, Modena-Avellino, che si sarebbe giocata il 17 maggio 2014. Io offro duecentomila euro, in base alla quota, che era alla pari; la sera successiva gli mando, tramite Pini, 150mila euro. Il venerdì mattina e comunque prima della partenza per Modena venni a sapere da Pini, che mi mostrò i relativi sms del Millesi, che avevano problemi a convincere il portiere. Allora Pini si accinse ad andare a riprendere i 150mila euro ed io feci la controproposta di sapere se almeno poteva l’Avellino subire un gol dal Modena; Millesi, che era già in ritiro, fece arrivare la risposta via sms sul cellulare di Pini, che si poteva fare. Pini giocava nelle giovanili dell’Avellino, ed i messaggi venivano camuffati come compravendite di orologi che Pini poteva giustificare in quanto la sua famiglia ha una gioielleria. Sul ‘gol casa’ in Modena-Avellino noi della Vinella scommettemmo dunque circa 400mila euro vincendone 60mila euro. Vi fu anche una complicazione, dovuta al fatto che l’allenatore dell’Avellino Rastrelli, contrariamente a quanto avvenuto nella riunione tecnica, non schierò in difesa Izzo; noi ci allarmammo e mandammo una serie di sms a Millesi tramite il solito Pini. Il primo tempo finì 0-0 ma nell’intervallo Millesi negli spogliatoi parlò con il giocatore che era stato schierato al posto di Izzo (di cui il collaboratore di giustizia fa il nome, ma non è noto se è indagato – ndr) e subito all’inizio del secondo tempo l’Avellino passa in svantaggio e dalle immagini è evidente la responsabilità” del calciatore citato “sul gol subito”. “A Pini – dice Accurso – consegnammo 30mila euro da dare a Millesi e Izzo. Poi loro diedero qualcosa” al giocatore che avrebbe aderito alla combine. “Noi allorché ci riprendemmo i 150mila euro concordammo che avremmo dato, in caso di gol subito, la somma di 50mila euro; poi ne demmo solo 30mila a causa della riduzione progressiva della quota dovuta al flusso di giocate”. “Nella settimana successiva ci incontrammo di nuovo alla trattoria La Casereccia di Casoria, mio fratello si era appena dato latitante per la condanna per l’omicidio Faiello. Eravamo io, Izzo, Millesi, Pini e Geremia. La partita successiva era Avellino-Reggina e Millesi si offrì subito, per 50mila euro, di intervenire con quelli della Reggina per garantire la vittoria dell’Avellino. Gli mandammo subito 50mila euro per il tramite di Pini e la domenica mattina Millesi mandò il solito sms a Pini che disse a Geremia che potevamo giocarci 1 fisso sulla vittoria dell’Avellino. Scommettemmo circa 400mila euro, la partita finì 3-0 per l’Avellino e guadagnammo 60mila euro, anzi 110 mila sulle scommesse da cui andavano dedotti i 50mila già dati a Millesi. La sera stessa io venni arrestato e Pini era in mia compagnia. La partita Avellino-Reggina era appena finita che Millesi mandò a Pini un sms dicendo che c’erano ‘ottime notizie’ per la partita Padova-Avellino, l’ultima di campionato, ma non se ne fece nulla perché io venni arrestato”.
Roma. E’ attesa per domani nell’aula bunker di Rebibbia la sentenza del processo per l’omicidio del tifoso napoletano Ciro Esposito, ferito nella Capitale il 3 maggio 2014 prima della finale di Coppa Italia Fiorentina-Napoli e morto dopo 53 giorni di agonia al policlinico Gemelli. A esprimersi saranno i giudici della Corte d’Assise di Roma. Per l’omicidio è imputato l’ultrà della Roma Daniele De Santis, per il quale i pm Eugenio Albamonte e Antonino Di Maio hanno chiesto l’ergastolo. I pm hanno sollecitato anche la condanna a tre anni ciascuno per altri due imputati, Gennaro Fioretti e Alfonso Esposito, accusati di rissa aggravata per aver fatto parte del gruppo che a Tor di Quinto provocò gli scontri tra le diverse tifoserie. Il difensore dell’ultrà romanista, l’avvocato Tommaso Politi, ha chiesto invece l’assoluzione per legittima difesa, sostenendo che si è trattato di un episodio “imprevisto e imprevedibile” e che la pistola con cui De Santis ha fatto fuoco “non era sua perché non aveva armi con se'”. La madre di Ciro Esposito, Antonella Leardi, sempre presente alle udienze, sarà in aula anche domani “come ho sempre fatto in tutte le udienze in questi due anni”, dice all’Adnkronos. Antonella Leardi continua a chiedere “che giustizia sia fatta” e che Daniele De Santis, l’ultrà della Roma imputato per l’omicidio di suo figlio, “sia punito con la massima pena, l’ergastolo. De Santis dovrebbe avere modo di riflettere a lungo in carcere su quello che ha fatto”. De Santis, spiega la madre di Ciro Esposito, “in questi anni non ci ha mai chiesto perdono per quello che ha fatto. Ha sempre avuto un atteggiamento arrogante”. E se lo chiedesse ora il perdono? “Avrebbe il sapore della falsità – aggiunge – Prima forse lo averi perdonato, ma ormai è tardi, adesso non lo farei più”. “I fatti avvenuti a Roma l’altra sera sono dovuti sempre allo stesso motivo: la mancanza di sicurezza – prosegue Leardi – I soggetti preposti alla gestione dell’ordine pubblico sanno chi sono i soggetti pericolosi, credo che chi fa questo mestiere sa da dove viene il pericolo. E’ allucinante che a due anni dalla morte di mio figlio poteva esserci un’altra tragedia”. “Io lancio appelli tutti i giorni contro la violenza – aggiunge – parlo con i bambini, con i ragazzi, perché lo sport deve essere un divertimento che finisce là, non si può morire per una passione”.
Spari nella periferia occidentale di Napoli, dove in serata un uomo e’ stato ferito in maniera grave ed e’? morto poco dopo il suo ricovero in ospedale. La vittima e’ Ivan Maietta, 38enne domiciliato in via Cinthia, con precedenti per droga. Non e’ ancora chiara la dinamica di quello che sembra un agguato di stampo camorristico nel quale Maietta e’ stato raggiunto da quattro colpi di pistola all’addome in via Catone, nel rione Traiano, zona di fibrillazione dei clan. Soccorso, il ferito e’ stato caricato su un’ambulanza e trasportato al San Paolo, dove e’ stato ricoverato in codice rosso, cioe’ in gravi condizioni. Nonostante sia stato sottoposto ad intervento chirurgico, il 38enne e’ morto poco dopo. L’allarme e’ scattato in seguito a diverse segnalazioni giunte sia al 112 che al 113. Sul posto, indicato dai testimoni che hanno avvertito le due sale operative, gli investigatori hanno rinvenuto tracce ematiche ma non bossoli. Le indagini affida ai carabinieri per ora non escludono alcuna pista, anche se l’attenzione e’ negli ambienti della droga, del controllo delle piazze di spaccio attive all’interno del rione Traiano, sotto il controllo delle cosche. Ivan Maietta fu arrestato nel 2007 con altre 12 persone, componenti di alcuni gruppi familiari, proprio per il reato di spaccio.
Aveva solo 20 anni l’ennesima vittima di incidenti stradali in provincia di Napoli. Si chiamava Stefano Maurino ed era uno studente universitario di Pompei. Il giovane questa sera intorno alle 19 si trovava in località Boccia al Mauro alla periferia di Terzigno. Il giovane che proveniva da Poggiomarino ed era diretto a casa era in sella al suo scooter quando per cause ancora da accertare ha perso il controllo della moto e si è schiantata al suolo. L’impatto è stato violentissimo e il ragazzo ha perso subito conoscenza. sul posto è arrivata un’ambulanza del 118 che lo ha trasportato al vicino ospedale San Leonardo di Castellammare. Dove però il suo cuore ha cessato di battere poco dopo a cause delle numerose lesioni interne subite nell’impatto. la salma di Stefano è stata trasferita al policlinico di Napoli, dove è a disposizione del magistrato della procura di Nola, che ora potrebbe disporre l’autopsia.