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Channel: Cronaca – Cronache della Campania
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NapolI: l’omicidio Maietta è la riposta dei Vigilia contro i Sorianiello per l’uccisione di Adamo

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L’omicidio di Ivan Maietta, il pusher 36enne  di Fuorigrotta legato ai Sorianiello di Soccavo è la risposta dei Vigilia all’esecuzione dell’11 maggio scorso in cui trovò la morte Stefano Adamo, 42 anni imparentato col boss detenuto Ciro Grimaldi “Settirò”. La faida dell’area flegrea e della zona Occidentale di Napoli non conosce soste. Anche però l’omicidio di ieri sera è stato preceduto da una “stesa” a Soccavo avvenuta nella notte tra domenica e lunedì in via Canonico Giovanni Scherillo. Ieri sera invece la trappola è scatta nei confronti di Ivan Maietta. Il pregiudicato era fermo in via Catone, probabilmente in attesa di qualcuno, quando da un motorino sono partiti contro di lui una decina di colpi di pistola. Quattro sono andati a segno e l’uomo, dopo il ricovero all’ospedale San Paolo è morto dopo un disperato tetativo di intervento chirurgico da parte dei medici. Ivan Maietta nel 2008 fu arrestato dai carabinieri nel corso di un’operazione che pose fine a una fiorente attività di spaccio tra Fuorigrotta, il rione Tra- iano e Pianura. Lui non era i promotori dell’organizzazione, tant’è vero che gli furono subito conces- si gli arresti domiciliari. L’indagine si avvalse di intercettazioni telefoniche e ambientali e prese il via dal finto suicidio di una donna indagata. Mettendo sotto controllo alcuni telefoni venne fuori lo spaccio.

(nella foto Ivan Maietta tratta dal profilo Facebook)


Napoli, omicidio Ciro Esposito: De Santis condannato a 26 anni di carcere. Proteste dei familiari della giovane vittima

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È stato condannato a 26 Daniele De Santis, l’ultrà giallorosso accusato di aver ferito e ucciso Ciro Esposito durante gli scontri che precedettero, il 3 maggio del 2014, la finale di Coppa Italia, Napoli Fiorentina. La sentenza dei giudici della terza sezione della Corte d’Assise di Roma è stata letta nell’aula bunker di Rebibbia dopo tre ore e mezzo di camera di consiglio. Era presente Daniele De Santis. Presenti in aula i legali della famiglia Esposito, Angelo e Sergio Pisani, i genitori di Ciro, la mamma Antonella Leardi e il padre Giovanni, e, nella parte riservata al pubblico, altri parenti del giovane di Scampia ferito gravemente il 3 maggio 2014, poco prima della finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli, e morto dopo un’agonia di 53 giorni. Condannati per lesioni anche i due tifosi napoletani Gennaro Fioretti e Alfonso  Esposito, entrambi a otto mesi ciascuno, pena sospesa. Proteste in aula alla lettura della sentenza. I familiari di Ciro Esposito hanno inveito più volte contro l’ultrà romanista: “Ventisei anni di carcere sono pochi, devi marcire in galera” .

Il parroco faceva estorsioni e prestiti a usura ai migranti: sequestrati beni per oltre un milione di euro

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Estorsioni a cittadini extracomunitari ma anche prestiti di denaro con elevati tassi di interesse. È quanto viene contestato ad un sacerdote, già parroco della Parrocchia di San Biagio di Limatola (Benevento) al quale sono stati sequestrati beni per oltre un milione di euro. Secondo quanto si legge in un comunicato del procuratore capo Giovanni Conzo, il prete è ritenuto “soggetto abitualmente dedito a delinquere e a vivere, almeno in parte, dei proventi delle proprie attività illecite”. Il sacerdote era stato oggetto di attenzione investigativa da parte della Procura sannita sin dall’aprile 2014 quando, nei suoi confronti, furono eseguite una serie di perquisizioni che avevano poi permesso di contestargli diversi reati, anche di carattere estorsivo, realizzati con l’ausilio di pregiudicati, nonché una intensa attività usuraia. Le investigazioni hanno consentito di raccogliere la testimonianza di alcuni extracomunitari che abitavano presso i locali della parrocchia di San Biagio senza regolare contratto di affitto che “avevano dovuto sottostare alle pretese del parroco e alle sue ritorsioni, a seguito del ritardo nel pagamento dei canoni di fitto” staccando loro l’energia elettrica. Nella notte di Capodanno 2013 la famiglia “morosa” era stata lasciata senza fornitura elettrica per qualche giorno. Le Fiamme Gialle, dopo aver analizzato il patrimonio del religioso, hanno accertato una notevole sproporzione fra i redditi dichiarati e i beni posseduti: 13 autovetture di cui sette d’epoca, sistemate in parte nei locali della canonica parrocchiale, un immobile di pregio a Cimitile  e numerosi rapporti bancari. Da qui il decreto di sequestro emesso dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Benevento del valore di circa un milione di euro.

Grumo Nevano, villa comunale nel degrado: la denuncia di agriambiente

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La Villa comunale di Grumo Nevano continua a vivere nel degrado e nell’abbandono. La denuncia arriva direttamente dai cittadini all’associazione Agriambiente che ha effettuato un sopralluogo rilevando come si evince dalle foto che pubblichiamo che tutto è rimasto come era. ” Nulla è  stato ripristinato -denunciano gli esponenti di Agriambiente-in quanto vi erano bambini che giocavano a pallone e con questo caldo non potevano bere percheé le fontane erano fuori uso così ci hanno riferito noi di Agriambiente. Vorremmo capire perché l’amministrazione non provvede a riaprire la villa. La nostra è una battaglia di civiltà per i cittadini di Grumo Nevano ma il comune e’totalmente assente” .
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Le donne gestivano il traffico di droga sul litorale domizio: 57 arresti. Tutti i nomi. GUARDA IL VIDEO

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L’attività investigativa alla base del blitz eseguito dai carabinieri in sei province d’Italia, concluso con 39 arresti in carcere, 5 ai domiciliari e alla notifica di 7 divieti di accesso e di dimora, ha consentito, tra l’altro, di individuare un’associazione dedita al traffico di stupefacenti gestita dai capi clan casertano facente capo alle famiglie camorristiche dei Gagliardi, Fragnoli e Pagliuca. I pusher, alle loro dipendenze, smerciavano nelle piazze di spaccio del litorale mondragonese, cocaina, crack, hashish e marijuana. Individuati anche i responsabili di un tentato omicidio avvenuto nel febbraio del 2012 ai danni di Antonio Buonocore (anche nei suoi confronti è stato emesso un provvedimento cautelare), colpevole di avere messo in piedi l’attività di spaccio senza l’autorizzazione del clan. Scongiurato anche un altro omicidio, quello del cassiere del clan, Lucio Cinalli, che vede nella veste di mandante il boss Giuseppe De Filippis, determinato da dissidi sulle modalità di gestione degli stipendi da dare gli affiliati. Identificate anche nove persone che nascondevano e fornivano armi al clan – alcune delle quali sono state anche sequestrate (2 revolver, una Mauser e una Beretta) – che poi venivano usate per intimidire le vittime delle estorsioni. Infine, i carabinieri di Mondragone e del comando provinciale di Caserta, coordinati dal colonnello Giancarlo Scafuri, hanno sequestrato a uno dei presunti affiliati al clan, Raffaele Gagliardi, un immobile intestato a un prestanome ma a lui riconducibile. Il blitz è stato diretto dal procuratore della Repubblica di Napoli Giovanni Colangelo, dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli e coordinato da Antonio D’Amato (ora procuratore aggiunto di Santa Maria Capua Vetere) e dai sostituti Alessandro D’Alessio e Maria Laura Lalia Morra. I provvedimenti cautelari sono stati emessi invece dal gip Claudio Marcopido.

 Erano le donne a ricoprire un ruolo fondamentale all’interno del clan svolgendo i compiti assegnati dai mariti detenuti. A loro venivano versate periodicamente le somme di denaro, accumulate dal cassiere dell’organizzazione camorristica, necessarie al mantenimento dei familiari in carcere. È emerso anche questo dall’indagine condotta dai carabinieri della Compagnia di Mondragone e coordinate dalla Procura antimafia di Napoli. Sono 39 le persone finite in manette, cinque agli arresti domiciliari e sette i divieti di accesso di dimora nei comuni di Lazio e Campania. I provvedimenti cautelari sono stati eseguiti elle province di Caserta, Napoli, Latina, Varese, Pavia e Roma. I reati contestati, a vario titolo, sono associazione di tipo mafioso, concorso esterno i n associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e spaccio di droga, estorsione, tentato omicidio in concorso, detenzione e porto illegali di armi da fuoco e ricettazione, tutti aggravati dal metodo mafioso. Le investigazioni hanno riguardo il clan Gagliardi, Fragnoli Pagliuca, attivo nel territorio mondragonese, e sono iniziate nel febbraio 2014. È stato così possibile ricostruire le estorsioni attuate dal gruppo camorristico ai danni di imprenditori locali e di ditte edili impegnate nella realizzazione di lavori pubblici. È stata inoltre ricostruita un’associazione, dedita al traffico e alla vendita di cocaina, crack, hashish e marijuana, con a capo i promotori del clan e alle dipendenze numerosi pusher dislocati in varie piazze di spaccio lungo il litorale di Mondragone.

Il gip – si legge in una nota del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli – ha contestato, oltre ai reati associativi, nove episodi estorsivi consumati e sei tentati, alcuni dei quali perpetrati grazie ad atti intimidatori eseguiti anche utilizzando le armi. È stato inoltre possibile ricostruire e individuare i responsabili del tentato omicidio, realizzato nel febbraio 2012, nei confronti di Antonio Buonocore (anche lui destinatario dell’odierna misura cautelare), che aveva avviato un’attività di spaccio senza l’assenso del clan. Sono state così individuate le responsabilità di due indagati in merito al fatto di sangue. La polizia giudiziaria ha, inoltre, scongiurato l’omicidio “del cassiere del clan, Lucio Cinalli, già organizzato e disposto dal capo-clan Giuseppe De Filippis, entrato in contrasto circa la gestione degli stipendi da dividere tra gli affiliati”. Nove indagati, invece, sono ritenuti colpevoli di aver recuperato, trasportato e nascosto alcune armi utilizzate dal clan per la realizzazione di atti intimidatori finalizzati “ad affermare la forza intimidatrice sul territorio mondragonese”. Emblematico il sequestro preventivo, disposto dal gip di Napoli, di un immobile a Mondragone nei confronti di uno dei componenti del clan, che era stato intestato ad una persona apparentemente lontana dalle dinamiche criminali. Sono stati, inoltre, denunciati alcuni imprenditori che con la loro reticenza hanno ostacolato le attività di indagine finalizzate all’accertamento delle attività estorsive del gruppo camorristico. Gli imprenditori, infatti, avevano negato di subire richieste di pizzo.

Ci sono anche due imprenditori vittime di estorsioni che, ascoltati dai carabinieri, hanno negato di avere pagato il pizzo al clan, tra le persone coinvolte nell’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli che oggi ha portato all’arresto, da parte dei carabinieri di Mondragone (Caserta), di 57 persone tra le province di Caserta, Napoli, Latina, Roma, Varese e Pavia. Il pizzo, è emerso dalle indagini, è stato chiesto anche a imprenditori che con le loro aziende erano impegnati nella realizzazione di opere pubbliche. Il denaro delle estorsioni, infine, veniva consegnato e gestito dalle mogli di alcuni affiliati al clan Gagliardi-Fragnoli-Pagliuca che poi lo destinavano anche alle famiglie dei detenuti del clan.

ELENCO DESTINATARI DEL PROVVEDIMENTO CAUTELARE

IN CARCERE:

  1. DE FILIPPIS Giuseppe, nato a Napoli il O1.01.1970 inteso “ZIO PEPPE IL CINESE”;
  2. INVITO Simone, nato a Cassino (FR) il 29.10.1989 inteso “SIMONE LO ZINGARO”;
  3. DELLA VALLE Tommaso, nato a Mondragone (CE) il 25.8.1963, inteso “NINO D’ANGELO”;
  4. PACIFICO Alberto, nato a Gaeta il 15.08.1983 inteso “IL SECCO”;
  5. CINALLI Lucio, nato a Trinitapoli (FG) il 27.09.1958;
  6. DE ROSA Francesco, nato a Napoli il 29.12.1978 inteso “NEO”;
  7. BUONOCORE Antonio, nato a Mondragone (CE) il 15.02.1978 inteso “CHARLOTTE”;
  8. RANUCCI Ciro, nato ad Arzano il 08.04.1968 inteso “CIRO L’INTACCATO O CIRO IL “NCACAGLIO”;
  9. INVITO Emanuele, nato a Cassino il 29.l 0.1989;
  10. NERI Antonio, nato a Formia il27.01.1982 inteso “ANTONIO NERINO”;
  11. FARGNOLI Mario, nato a Mondragone (CE) il 30.10.1963
  12. VALENTE Pietro, nato a Napoli il 18.07.1970;
  13. INVITO Antonio, nato a Mondragone (CE) il 03.07.1951.
  14. GAGLIARDI Raffaele, nato a Formia (LT) il 21.11.1980, inteso “MANGIANASTRI”;
  15. DE CRESCENZO Salvatore, nato a Napoli il 02.06.1977, intesto “SASA’ LO SPAGNOLO” o “SASA’ IL NAPOLETANO”;
  1. CARDILLO Costantino, nato a Genova il 28.06.1984, inteso ”DRAGO”;
  2. MESSINA Mario, nato a Formia (LT) il 22.01.1988, inteso “ASSO MARIO”;
  3. ROMANO Francesco Junior, nato a Mondragone (CE) il 20.02.1985;
  4. CECORO Adriano, nato a Mondragone (CE) il 05.03.1983, intesto “LAMPIRO”;
  5. MERCOLINO Francesco, nato a Napoli il 02.10.1984;
  6. VENTO Carlo, nato a Formia il 08.05.1987, inteso “CARLETTO”;
  7. FORINO Andrea, nato a Mondragone il 09.08.1988, inteso “PAPEROTTO”;
  8. GALLUCCIO Giuseppe, nato a Mondragone (CE) ill3.07.1992, inteso “UCCELLETTO”;
  9. TAGLIAFERRI Pasquale, nato a Napoli il 08.10.1958.
  10. CORSO Assunta, nata ad Arzano (NA) il 14.10.1973.
  11. SABATINO Salvatore, nato a Mondragone il 24.11.1968, inteso ”PELLE E OSSA”;
  12. VENEZIANO Antonio, nato a Formia (LT) il 30.04.1983, inteso “IL MALESE”;
  13. GALLO Antonio, nato a Formia il 07.05.1987.
  14. PAGLIUCA Donato, nato a Formia (LT) il 02.07.1987 inteso “RENATO”;
  15. BUONOCORE Alessandro, nato a Castel Volturno (CE) i125.09.1995.
  16. DE ROSA Carlo, nato a Sant’Agata de’ Goti (BN) il 01.04.1970
  17. BUONEMANI Franco, nato a Minturno il 02.03.1972
  18. GUGLIELMO Francesco, nato a Mondragone il 21.03.
  19. PAGLIUCA Achille, nato a Mondragone (CE) il 06.10.1980, detenuto.
  20. SBORDONE Alessandro, nato a Formia (LT) il 16.07.1990, detenuto.
  21. CERBONE Antonio, nato a Mugnano di Napoli il 07.11.1987.
  22. GALLO Ferdinando, nato a Mondragone il 13.01.1948;
  23. PAGLIUCA Mario, nato a Mondragone il 25.05.1954″
  24. VOLENTE Luca, nato a Formia (LT) il 03.12.1994 inteso “LUCA ACQUAFORTE”;

ARRESTI DOMICILIARI:

  1. GAGLIARDI Annunziata, nata in Germania il 18.12.1978, intesa “Nunzia”;
  2. CAIRO Marianna, nata a Napoli il 10.08.1985, intesa “BAMBOLA”;
  3. DE LUCIA Agostino, nato a Formia (LT) il 22.10.1995;
  4. RAZZINO Maria Alessandra Paola, nata a Formia il 27.11.1990, intesa “SCAROLA”;
  5. MINNITI Cristina, NATA A Cinquefrondi (RC) il 18.06.1985.

DIVIETO DI DIMORA:

  1. RUSSO Cinzia, nata a Formia (LT) il 29.08.1981;
  2. DI MEO Antonetta, nata a Mondragone (CE) il 20.01, intesa “ZIA BERNARDINA”;
  3. CHIARIELLO Federica, nata a Penne (PE) il12.05.1975.
  4. FARGNOLI Rosanna, nata a Teano (CE) il 10.08.1988;
  5. PAGLIUCA Maria, nata a Maddaloni (CE) il 26.06.
  6. PALUMBO Fernanda, nata a Mondragone (CE) il 15.01.1972;
  7. AVERSANO Carolina, nata a Mondragone (CE) il 05.11.1964.

Omicidio Fortuna, Caputo accusa: “E’ stata Marianna ad ucciderla”

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“Non sono stato io a gettare ‘Chicca’ di sotto, è stata la mia compagna”, questo – secondo fonti della trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?” – ha detto Raimondo Caputo al suo avvocato, Salvatore Di Mezza, che è lo stesso che difende anche la compagna dell’uomo, accusato dell’omicidio della piccola Fortuna, violentata e poi gettata dal balcone al Parco Verde di Caivano. Dopo questa confidenza – sempre secondo fonti della trasmissione “Chi l’ha visto?” – il legale ha deciso di lasciare l’incarico di difensore di Caputo e di continuare a difendere solo la compagna dell’uomo, Marianna Fabozzi che nei giorni scorsi aveva tentato il suicidio nel carcere di Pozzuoli dove è detenuta.

Terra dei Fuochi: partito il prelievo dei 550mila pneumatici da Gianturco

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Sono partite ieri pomeriggio alle 15 le operazioni di prelievo delle 5mila tonnellate di pneumatici fuori uso abbandonate da oltre otto anni in un deposito in zona Gianturco, nel comune di Napoli, in prossimità della stazione ferroviaria: equivalenti a circa 550mila pneumatici da autovettura, rappresentano un pericolo per la sicurezza dell’ambiente e per la salute pubblica. L’operazione, che durerà due mesi, rientra tra le attività previste nel ‘Protocollo per l’attuazione di interventi di prelievo e gestione di pneumatici fuori uso abbandonati nel territorio delle province di Napoli e Caserta’, stipulato nel 2013 tra il ministero dell’Ambiente, l’incaricato del Governo per il contrasto dei roghi in Campania Prefetto Donato Cafagna, i Comuni e le Prefetture di Napoli e Caserta e il consorzio Ecopneus, ‘braccio operativo’ del ministero e delle altre istituzioni in questa attività. “Stiamo dando – commenta il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti – un altro segnale chiaro della presenza congiunta delle istituzioni di fronte ai problemi ambientali della Campania. Anche un solo copertone abbandonato per la strada è uno sfregio all’ambiente: un cimitero di pneumatici come quello che c’è in zona Gianturco è quanto di più intollerabile, perché oltre a essere un pericolo costante in pieno centro abitato, rappresenta una pessima cartolina di Napoli all’arrivo in stazione. Nelle province di Napoli e Caserta – conclude il ministro – c’è una lunga e complessa attività di recupero ambientale che stiamo portando avanti con determinazione e con tutti gli strumenti possibili, puntando anche sul riciclo come alternativa al degrado”. Le operazioni coinvolgeranno sei aziende: due per il trasporto di pneumatici e quattro per le operazioni di frantumazione, attraverso cui è possibile ottenere acciaio e gomma riciclata per applicazioni nello sport, nelle infrastrutture, in edilizia e per molti altri usi. Il Protocollo prevede inoltre che la gomma ottenuta dal trattamento degli PFU venga messa gratuitamente a disposizione dei comuni del territorio per progetti di pubblica utilità. Ad oggi grazie al Protocollo è stato già possibile rimuovere dalle strade di 24 comuni della ‘Terra dei Fuochi ‘centomila pneumatici fuori uso, pari a oltre mille tonnellate di peso, assicurando un corretto recupero e scongiurando che venissero utilizzati come innesco per i roghi di rifiuti.

La faida di Scampia: “Jonny ‘o niro” diventò armiere della Vinella Grassi dopo essere scampato alla morte per mano di Pierino Licciardi

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Uno degli armieri della Vinella Grassi all’epoca dela faida di Scampia era Joanderson Monaco detto “Jonny ‘o niro” ma prima era stato un affiliato a Di Lauro e come racconta il pentito  Carlo Capasso fu salvatto da morte sicura perché Pierino Licciardi aveva deciso di ucciderlo visto che aveva litigatoe  accoltellato uno dei licciardi appunto. Ecco cosa ha raccontato Capasso : “Arrivati alla Masseria Cardone incontrammo Pierino Licciardi, Pasquale Salomone, Paolo Abbatiello, Peppe Pellegrino e altre persone che non ricordo. Ciro Maisto cominciò a parlare con Pierino Licciardi, il quale ci disse che un ragazzo del Rione Berlingeri soprannominato “Jonny o’ niro», ragazzo di colore imparentato con Ugo De Lucia, aveva accoltellato un affiliato al clan Licciardi…Pierino Licciardi ci disse che dovevamo prendere “Jonny o’niro ed accoltellarlo come lui aveva fatto con questo ragazzo; altrimenti lo avrebbe ammazzato… … Jonny ’o niro non era un nostro affiliato ma era imparentato con Ugo De Lucia, mostro affiliato. Allora Pica Giuseppe ci disse di andare a prenderlo e di picchiarlo davanti a per evitare che quest’ultimo lo ammazzasse. Pasquale Rinaldi andò e lo portò nel posto indicato da Pierino Licciardi. Scendemmo in un garage ed alla presenza anche di Licciardi e Peppe Pellegrino, io e Ciro Maisto incominciammo a picchiare Jonny o’ niro. Intervenne a un certo punto Pierino Licciardi, prese un coltello che aveva in tasca e si avvicinò per accoltellarlo. Ma Ciro Maisto per evitare che Licciardi lo accoltellasse mortalmente, gli tolse il coltello da mano e lo fece lui stesso, colpendolo al volto e sulla testa. Dopo essere stato colpito nel modo che ho descritto, Jonny o niro perdeva sangue, in quanto colpito su entrambi i lati del volto e sul capo, e venne accompagnato in ospedale da Pasquale Rinaldi”. Di Jonny ‘o niro che è stato condannato a 22 anni di carcere per l’omicidio di Antonello Faiello, hanno parlato ampiamente anche i pentiti della Vinella Grassi.

Mario Pacciarelli ha raccontato:

“MONACO JOANDERSSON detto JOHNNY O NIRO aveva il compito di mantenere la cocaina di MAGNETTI FABIO, GUARINO ROSARIO e MENNETTA ANTONIO; era custode dello stupefacente che alla VINELLA veniva mandata da MARIANO RICCIO;… … all’epoca dell’omicidio FAIELLO MONACO veniva pagato da FABIO MAGNETTI, non so dire quanto. MONACO JOANDERSSON non ha partecipato a delitti di sangue; non è mai stato sulla piazza di spaccio; io ho visto che MONACO JOANDERSSON si riceveva la droga a pacchi da UMBERTO DE VITALE, il figlio di PEPESCE: questi due camminano assieme. La droga viene da MARIANO RICCIO e la portano direttamente alla Vinella, Specifico: quando arriva il carico a MELITO MARIANO RICCIO manda tramite un suo affiliato, CICCIARIELLO o FRANCO o ANTONIO o GEMELLO, a GUARINO ROSARIO dicendo che ci sta la fatica oppure che ‘domani arriva il lavoro’ ed allora GUARINO lo diceva a MAGNETTI e costui incaricava o MONACO JOANDERSSON o UMBERTO DE VITALE di prelevare i pacchi da emissari di MARIANO RICCIO che venivano a Secondigliano a consegnare la droga con macchine a sistema… quando vennero arrestati MAGNETTI FABIO e MONACO JOANDERSSON io ero in carcere; FABIO quando entrò nella mia sezione qui a Secondigliano, mi disse che lui venne preso dalla Polizia… …MAGNETTI stava facendo una riunione di cocaina… …MONACO JOANDERSSON stava sempre con MAGNETTI FABIO e si stavano preparando per dove andare a prendere la roba dai venditori.   …Vi era un buon rapporto, gli AMATO PAGANO fornivano ogni quindici giorni massimo un mese, un quantitativo di cocaina, 50, 60 anche 100 chili al mese… ….Il flusso della cocaina si ridusse e la portava sulla VINELLA dove UMBERTO DE VITALE, per conto di MAGNETTI FABIO ed un loro affiliato, organizzavano il trasporto dei pacchi; non so dire dove si trovasse l’appoggio. Era coinvolto anche MONACO JOANDERSSON, specificamente nello stesso ruolo di DE VITALE UMBERTO, per come ho già riferito…”.    

Rosario Guarino, “Joe banana” invece ha detto:

MONACO JOANDERSSON detto JOHNNY O NIRO è il cugino della moglie di MAGNETTI FABIO, che è la figlia di ESPOSITO VINCENZO detto O’ PORSCHE. MONACO JOANDERSSON si è sempre occupato di vendere armi al gruppo della Vinella Grassi, dal 2009 in poi……MONACO JOANDERSSON aveva anche un ruolo sulla droga; quando venne arrestato DE VITALE UMBERTO, MONACO subentrò nel ruolo della droga occupato da UMBERTO DE VITALE: tagliava, consegnava… …Per quanto riguarda la droga, io non ho mai visto MONACO JOANDERSSON tagliare la droga ma a consegnarla sì, gli ho fatto consegnare la droga proprio a LEONARDI FELICE, figlio di CHIAPPELLONE, dieci chili di cocaina, eravamo nel maggio del 2012… …MONACO JOANDERSSON prima non era pagato da noi, ma dopo il blitz del gennaio 2012, dando appoggio a FABIO MAGNETTI, è entrato a far parte degli stipendiati dalla Vinella Grassi, e prendeva 1,500 euro al mese dalla cassa……Anche adesso che è in carcere MONACO è stipendiato dalla Vinella Grassi…

 

 


Rapporti con i Casalesi: interrogato dalla Dda il consigliere regionale Pd, Stefano Graziano

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Il consigliere regionale della Campania Stefano Graziano, autosospeso alla fine dello scorso mese di aprile dalla carica di presidente del Pd campano, dopo essere stato indagato per concorso esterno in associazione camorristica in un’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, si è presentato oggi alla Procura della Repubblica del capoluogo campano per essere ascoltato ed interrogato dai magistrati. Lo ha reso noto in serata lo stesso Graziano. Graziano, che era accompagnato dai suoi legali e nelle settimane scorse aveva annunciato che si sarebbe presentato spontaneamente ai magistrati, al termine dell’interrogatorio ha detto di ritenere “di aver chiarito” la sua posizione “rispondendo a tutte le domande che mi sono state poste”. Ha inoltre ringraziato i magistrati “per la disponibilità dimostrata” e ha confermato “da cittadino” la sua “piena fiducia nell’operato dei magistrati della Procura di NAPOLI“. Graziano è indagato in un’inchiesta che, il 26 aprile scorso, ha portato in carcere per presunte tangenti l’ex sindaco di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) Biagio Di Muro, in carica fino al novembre scorso, e l’imprenditore della ristorazione Alessandro Zagaria, ritenuto dagli inquirenti l’anello di congiunzione tra la politica e il clan guidato dal boss, solo omonimo, Michele Zagaria. Altre sette persone sono state poste ai domiciliari. Per i pm, alle elezioni regionali dello scorso anno dalla cosca, Graziano avrebbe ricevuto appoggio attraverso il sostegno diretto di Alessandro Zagaria, ponendosi “come punto di riferimento politico e amministrativo” del clan. A Graziano, che e’ stato deputato e consulente a Palazzo Chigi con Enrico Letta e fino al 31 dicembre 2014 (incarico non rinnovato dal Governo Renzi), i carabinieri e la Guardia di Finanza hanno perquisito le abitazioni di Roma e Teverola e l’ufficio nella sede del Consiglio regionale, a NAPOLI. L’inchiesta ruota attorno all’appalto per i lavori di consolidamento e “riqualificazione in polo della Cultura e della Legalita’” di Palazzo Teti Maffuccini, storico immobile ubicato a Santa Maria Capua Vetere dove risedette anche Garibaldi, confiscato anni fa al padre dell’ex primo cittadino, Nicola Di Muro, ex vice-sindaco della città sammaritana. Nel corso di alcuni colloqui intercettati dagli investigatori tra Biagio Di Muro e Alessandro Zagaria, quest’ultimo gestore di bar e mense nelle facolta’ della Sun, la Seconda universita’ di NAPOLI, si fa riferimento all’appoggio elettorale che occorreva garantire a Graziano. Quest’ultimo si sarebbe attivato – ma tale circostanza non e’ ritenuta illecita dagli inquirenti della Dda – per favorire il finanziamento dei lavori di Palazzo Teti. In particolare avrebbe dovuto agire per scongiurare che si perdesse il finanziamento facendolo trasferire in un diverso capitolato di spesa.

ANTEPRIMA. I verbali del pentito Alfonso Loreto, ecco chi pagava il pizzo al clan a Scafati e dintorni: dai Longobardi ai Chiavazzo, fino ai Principe di Pompei

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Il fiume in piena Alfonso Loreto, il pentito di camorra di Scafati  rischia di travolgere tutto e tutti nella cittadina dell’Agro con le sue dichiarazioni. Ha raccontato agli investigatori gli ultimi anni di camorra a Scafati: le estorsioni, i fatti di sangue, i traffici illeciti, i rapporti con la politica. Insomma un racconto completo parte del quale è già agli atti del processo che si celebrerà a giorni e che vece imputato lo stesso e buona parte dei suoi accoliti. Alfonsino Loreto, figlio del del pentito Pasquale, ha  spiegato agli investigatori, facendo nome e cognome, di come gli industriali di Scafati erano costretti a pagare il pizzo al suo clan. Ecco le sue dichiarazioni in esclusiva e in anteprima: “Facit faticà e paesan, siamo giovani, siamo carne che cresce” si presentavano così con nome e cognome i rampolli del clan Loreto-Ridosso agli industriali conservieri ai quali imponevano il servizio di pulizia e manutenzione nelle industrie scafatesi e non.

I conservieri costretti ad assumere “i guaglioni” del clan. Alfonso Loreto narra la nascita della sua attività, appena diciotto anni creò la prima società per imporre la pulizia e non solo ai conservieri. “La prima società fu creata da me, ero amministratore della ‘Delta Service di Loreto Alfonso’ – dice – per entrare nel settore appalti privati. Da subito prendemmo gli appalti dai Longobardi (l’industria di famiglia di Nello Longobardi, ex presidente dell’Acse, e patron dello Scafati Basket, ndr)”. Appalti in tutte e tre le sedi dell’azienda conserviera. “Due siti a Scafati e uno a Calvi, a Benevento. Poi prendemmo Teodoro Di Lallo, Bruno, con l’azienda di Scafati”. Bastava il nome. Nessuno di scompose più di tanto e fecero lavorare i giovani anche presso il Centro Plaza e in altre ditte private scafatesi. “non è stato troppo necessario un atto intimidatorio – dice Alfonso Loreto – quando ci presentavamo io e Luigi Ridosso dicevamo è meglio che ci facit faticà siamo paesani”. Minacce velate, ma neanche troppe, quelle dei rampolli della cosca egemone a Scafati per dieci anni. I verbali di Loreto sono ricchi di particolari, moltissimi dei quali coperti da ‘omissis’, molte vittime e complici nascosti ancora per non compromettere le indagini in corso. “Vir te vo parlà papà. Lo prendemmo, stava in pigiama, e lo portammo in via Fondo Monaco a Scafati”. Papà è Pasquale Loreto, pentito, che nel 2009 giunse a Scafati per regolare i suoi affari e ripristinare l’ordine della camorra imponendo a noti industriali conservieri il pagamento della tangente al clan Loreto-Ridosso. A raccontare i particolari di quegli incontri ‘forzati’ il rampollo di famiglia, Alfonso Loreto, che insieme ai suoi fidati amici e complici dell’organizzazione criminale prelevarono le persone indicate dal padre per portarle al suo cospetto. Era il 2009. Pasquale Loreto, nonostante fosse in località protetta arrivò a Scafati. “E’ sceso lui, sua figlia Claudia e sua moglie perché chell in effetti è la moglie … quale compagna … mia mamma sa spusat e c’è stata due anni tutt cos. Comunque scese Santa Formisano con Pasquale Loreto e Claudia la figlia – dice Alfonso Loreto – Santa Formisano e la figlia la appoggiammo da Teodoro Di Lallo, Bruno, dalla zia a dormire, e io a mio padre lo appoggiai presso un suo parente, Ciccillo, in via Fondo Monaco a Scafati. Venne perché doveva fare soldi ‘iss si doveva drogà’ perché penso che chill ultimamente i motivi di rottura con mio padre sono stati per la droga”.

Gli imprenditori sequestrati. Il primo ad essere prelevato e portato al cospetto del pentito fu Gaetano Novi, noto imprenditore e titolare di un grosso deposito di pomodori. “Io, Salvatore Ridosso e Luigi Ridosso (di Salvatore) andammo a prendere prima Gaetano Novi, un grosso commerciante di pomodori, erano le nove-dieci di sera. ‘Vir te vo parlà papà’ gli dissi”. L’uomo probabilmente credeva che quel parlare sarebbe stato via cavo, invece lo fecero salire in pigiama in auto e lo protarono da Pasquale Loreto. “Gli fu fatta una richiesta estorsiva di 50mila euro, ma Novi non pagò. “Sapemmo da Vincenzo Galasso, che ci stava in contatto – racconta Alfonsino – che era andato a denunciare. Io dissi ‘aspettamm nu poco’ lo dovevamo ammazzare, ma non lo trovavamo, avevo deciso di gambizzarlo”. Ma Novi non fu l’unico a essere portato alla corte di Pasqualino Loreto. “Il giorno dopo mandò a chiamare Giuseppe Chiavazzo (anch’egli un imprenditore conserviero), gli fa un’estorsione di diecimila euro e si accorda. Doveva pagare dopo 15 giorni. Se li chiudeva nello studio mentre noi eravamo fuori. Poi i soldi li avremmo divisi”. Chiavazzo alla scadenza non pagò e fu vittima di un violentissimo pestaggio da parte di Salvatore Ridosso e Alfonsino Loreto “Lo sbattemmo con la capa nel muro’ racconta al pm Giancarlo Russo. In successione la ‘convocazione’ fu fatta a Antonio De Clemente. “Lo portammo e pagò subito 5mila euro – dice Alfonso Loreto -, poi sono andato a ritirare altri diecimila”. In quella stessa mattina fu convocato anche Salvatore Ferraiuolo, il titolare del noto negozio ‘Principe’ di Pompei al quale i rampolli del clan dovevano tantissimi soldi. Un’estorsione, già contestata, al clan nell’ordinanza eseguita a settembre scorso. “Salvatore ‘Principe’ se ne ascett chiagnenn dicett non voglio sapè niente, aggia iut sott e ncopp però non voglio più niente”. Tutti i membri del clan andavano a vestirsi presso il noto negozio di griffes pompeiano. Dopo quell’incontro rinunciò a migliaia di euro. (rosaria federico)

(altri particolari sul quotidiano La Città in edicola)

Blitz contro la banda dei supermercati: i colpi a Pozzuoli, Portici, Torre Annunziata e Castel Volturno

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Carabinieri di Pozzuoli  e Torre del Greco hanno arrestato quattro persone accusate a vario titolo di aver compiuto 13 rapine nel Napoletano, a Pozzuoli, Portici, Torre Annunziata e Castel Volturno, soprattutto in supermercati e discount. I militari hanno eseguito ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip di Napoli al termine di indagini durante le quali gli investigatori hanno ripreso con le telecamere di sorveglianze tre rapine. In particolare, in un video si vede l’arresto in un supermercato di un minorenne componente la banda, con un carabiniere che gli intima di arrendersi, di deporre la pistola e poi lo blocca al termine di un inseguimento nel supermercato.

Due indagati per la morte del 20enne di Pompei morto nell’incidente stradale a Terzigno. Il toccante ricordo su Fb della sua prof

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Ci sono due indagati per la morte del 20enne di Pompei, Stefano Maurino avvenuta in un incidente stradale due giorni fa in via Alessandro Volta a Terzigno. Il ragazzo stava tornando a casa dopo aver studiato a casa di un amico. La Procura di Nola ha iscritto sul registro degli indagati per omicidio colposo il conducente della Rover contro la quale si è schiantato con la moto la giovane vittima e il conducente di un’altra auto che stava facendo una manovra azzardata lungo la strada. Immagini che sono state impresse nelle telecamere di alcuni esercizi commerciali della zona e dell’ufficio postale. Intanto oggi presso il Policlinico di Napoli sarà effettuata l’autopsia sul corpo di Stefano a chiarire le cause della morte del ragazzo che dopo l’impatto era ancora vigile e avrebbe anche cercato di rassicurare i medici del 118 arrivati sul posto a soccorrerlo. Ma le lesioni interne subite nel violento impatto ne hanno causato la morte dopo qualche ora dal ricovero in ospedale a Castellammare di Stabia. Intanto la sua pagina facebook è invasa di messaggi dei compagni di classe, degli amici e degli studenti del liceo Linguistico Panza di Pompei. toccante il ricordo di una delle sue professoresse: ” Chi dimentica di te che guardi stupito e incredulo la natura intorno? Era lo sguardo di un ragazzo con tanta voglia di vivere, con l’argento vivo addosso e solo io e pochi altri sanno la fatica che ci voleva per farti stare fermo tra i banchi nei primi 4 anni anni che ci hanno visto insieme. Rimarremo così Stè, con i tuoi amici, con la tua Anna. con me che ti volevo e che voglio bene. Ti abbraccio Stè. Alla commissione di esame parlerò di te, della tua tesina a cui non avevi ancora messo mano. Mannaggia Stè”.

Terra dei Fuochi: traffico illecito di rifiuti, 18 arresti e 38 indagati tra Giugliano, Quarto e in altre regioni d’Italia

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Dalle prime ore di questa mattina, i militari del Comando Carabinieri per la Tutela dell`Ambiente e della Polizia Metropolitana di Napoli, in collaborazione con i militari del Comando Provinciale Carabinieri di Napoli stanno dando esecuzione  a 18 misure cautelari emesse dal gip di Napoli, di cui 14 arresti con il beneficio dei domiciliari e 4 obblighi di dimora, nonche’ al sequestro di due cave a Giugliano e vari stabilimenti. Eseguite anche perquisizioni in diverse regioni, tra cui la Sicilia (Catania, Isola delle Femmine) in Puglia (Foggia) e in Lombardia (Bergamo). I rifiuti, provenienti da tutta Italia venivamo tombati nelle due cave di Giugliano. L’inchiesta della Procura Distrettuale della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, Procuratori Aggiunti, Dottori Giuseppe Borrelli e Filippo Beatrice, ha consentito di raccogliere gravi elementi di reità in ordine all`esistenza nel territorio di Giugliano in Campania, di Quarto e di altre aree limitrofe di un consolidato sistema, a cui hanno aderito a vario titolo imprenditori e professionisti, dedito alla commissione di una pluralità di reati di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti attraverso la predisposizione di falsi documenti di trasporto e falsi certificati di analisi, e che hanno permesso lo smaltimento illecito nella cava San Severino e la cava Neos di Giugliano in Campania di oltre 250.000 tonnellate di rifiuti, così da garantire un ingiusto profitto di alcuni milioni di euro derivante dal non sopportare i costi dovuti per lo smaltimento dei rifiuti presso i siti autorizzati. L`attività trae origine dalle verifiche effettuale dal Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri di Caserta in seguito ad un esposto anonimo nel quale veniva denunciata un`attività di raccolta, stoccaggio e commercio di inerti da demolizione che venivano conferiti presso la società SAN SEVERINO RICOMPOSIZIONI AMBIENTALI S.R.L. Le indagini svolte congiuntamente dai militari del Comando Carabinieri per la Tutela dell`Ambiente e dal personale della Polizia Metropolitana ha così permesso di stabilire come presso la cava, autorizzata ad effetturare operazioni di ricomposizione ambientale, cioè quell`insieme di azioni aventi lo scopo di realizzare un assetto dei luoghi tendente alla salvaguardia dell’ambiente naturale ed alla conservazione della possibilità di riuso del suolo, in realtà venissero smaltiti i rifiuti provenienti da demolizioni di edifici della città e provincia di Napoli, senza essere sottoposti a processi di separazione, vagliatura e macinazione mediante apposito impianto, peraltro in una zona a rischio idraulico, così come individuata dall’Autorità del Bacino Nord Occidentale della Campania. In tale contesto, appare fondamentale sottolineare come l`area della cava gestita dalla San severino coincida con quella indicata ultimamente dal collaboratore di giustizia Nunzio Perrella nelle sue dichiarazioni e che quindi le attività illecite in essa realizzate erano già state tempestivamente e compiutamente dimostrate dai militari nel corso dell`attività investigativa. Medesimo traffico di rifiuti è stato ricostruito presso una seconda cava, la N.E.O.S., sempre ubicata nel comune di Giugliano in Campania. In questo caso, le attività hanno permesso di dimostrare come gli indagati miscelassero i rifiuti provenienti dalle demolizioni con la pozzolana prodotta nella cava, rivendendone il miscuglio all`industria Moccia di Caserta, produttrice di laterizi e cemento. I controlli hanno infatti stabilito come i mattoni, destinati all`edilizia civile, presentassero una particolare fragilità, circostanza peraltro emersa in maniera palese anche da alcune conversazioni telefoniche. La pluralità di traffici illeciti ha riguardato anche i lavori di ripulitura dell`alveo di via Cirillo del Comune di Quarto in cui gli indagati hanno smaltito illecitamente i rifiuti speciali non pericolosi sia mediante abbancamento sulle stesse sponde del canale e nei terreni circostanti, con successiva copertura con terreno vegetale, che, in seguito alle piogge, è franato, sia mediante riposizionamento ed occultamento dei rifiuti nella medesima vasca di laminazione dell`alveo ovvero nel luogo da cui erano stati rimossi, con conseguente ostruzione del flusso delle acque. Come emerge dai numerosi e dettagliati elementi, la gestione illegale dei rifiuti avveniva mediante la ricezione e miscelazione illecita dei materiali e la loro provenienza da varie imprese senza essere abilitati a riceverli, condotte cui si affiancavano: irregolarità sistematiche nella tenuta dei registri di carico e scarico e nelle attività di trasporto; l’assenza di macchinari necessari; la mancanza di valide e puntuali analisi e accertamenti chimici sui rifiuti; la miscelazione di rifiuti non pericolosi, in assenza di analisi adeguate e con modalità che non consentivano di conservare traccia delle partite di rifiuto gestite e non consentivano a terzi di conoscere l’effettiva composizione delle partite ottenute; l’esistenza di irregolarità nella redazione dei formulari. Le allarmanti modalità, le circostanze adottate e la gravità delle condotte hanno pertanto evidenziato un concreto danno per l`ambiente. Alla luce degli elementi emersi nel corso delle indagini, in cui risultano complessivamente indagate 39 persone, l`Autorità Giudiziaria ha emesso una serie di provvedimenti di custodia cautelare in regime di arresti domiciliari.

Arresti Terra dei Fuochi: producevano mattoni scadenti e inquinanti per l’edilizia. TUTTI I NOMI

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Sono complessivamente 39 gli indagati nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Napoli, delegata ai carabinieri del Noe, per un traffico illecito di rifiuti in una porzione della cosiddetta Terra dei Fuochi. Il gip partenopeo ha emesso un provvedimento di arresto, con il beneficio dei domiciliari, pero’, solo per 14 di questi, mentre altri quattro sono destinatari di un divieto di dimora. Le misure cautelari restrittive riguardano, tra gli altri, Toni Gattola, titolare di una societa’ di consulenza ambientale (Omega Srl), e tre componenti della famiglia Liccardi, titolari di uan societa’ edile (Eu.Sa.Edilizia Srl), nonche’ i titolari della San Severino ricomposizioni ambientali (Massimo Capuano, Enrico Micillo, Gennaro Pianura), il titolare della societa’ Te.Vin Srl (Crescenzo Catogno), e quelli della Neos (Biagio Illiano, Antonio e Luigi Carannante), insieme a collaboratori e dipendenti delle societa’ coinvolte nell’indagine. La gestione illegale dei rifiuti avveniva con la ricezione e miscelazione illecita di materiali provenienti da varie imprese che non erano autorizzate a riceverli; ma anche con irregolarita’ sistematiche nella tenuta dei registri di carico e scarico e in quelle di trasporto; l’assenza di macchinari necessari; la mancanza di analisi e accertamenti chimici sui rifiuti; la miscelazione di rifiuti non pericolosi, senza analisi adeguate e senza tracciabilita’; l’irregolarita’ nella redazione dei formulari. Le indagini sono partite dalle verifiche effettuale dal Nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Caserta in seguito ad un esposto anonimo nel quale veniva denunciata un’attività di raccolta, stoccaggio e commercio di inerti da demolizione. Le indagini svolte congiuntamente dai militari del Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente e dal personale della Polizia Metropolitana ha così permesso di stabilire come presso una cava, “autorizzata ad effettuare operazioni di ricomposizione ambientale”, in realtà “venissero smaltiti i rifiuti provenienti da demolizioni di edifici della città e provincia di Napoli, senza essere sottoposti a processi di separazione, vagliatura e macinazione mediante apposito impianto, peraltro in una zona a rischio idraulico, così come individuata dall’Autorità del Bacino Nord Occidentale della Campania”. Lo stesso traffico di rifiuti, secondo quanto riferiscono i carabinieri, “è stato ricostruito presso una seconda cava”, sempre nel comune di Giugliano in Campania. In questo caso, dalle indagini è emerso “come gli indagati miscelassero i rifiuti provenienti dalle demolizioni con la pozzolana prodotta nella cava, rivendendone il miscuglio” a un’industria produttrice di laterizi e cemento. “I controlli hanno infatti stabilito come i mattoni, destinati all’edilizia civile, presentassero una particolare fragilità”, osservano i carabinieri, circostanza peraltro emersa “anche da alcune conversazioni telefoniche”.Secondo quanto emerso dalle indagini dei carabinieri del Noe, i traffici illeciti hanno “riguardato anche i lavori di ripulitura dell’alveo di via Cirillo del Comune di Quarto in cui gli indagati hanno smaltito illecitamente i rifiuti speciali non pericolosi sia mediante abbancamento sulle stesse sponde del canale e nei terreni circostanti, con successiva copertura con terreno vegetale, che, in seguito alle piogge, è franato, sia mediante riposizionamento ed occultamento dei rifiuti nella medesima vasca di laminazione dell’alveo ovvero nel luogo da cui erano stati rimossi, con conseguente ostruzione del flusso delle acque”. La gestione illegale dei rifiuti, secondo le indagini, “avveniva mediante la ricezione e miscelazione illecita dei materiali e la loro provenienza da varie imprese senza essere abilitati a riceverli”. Sono quattro, inoltre, le persone per cui è stato disposto l’obbligo di dimora. Sono in corso numerose perquisizioni in società ed impianti in altre zone del territorio nazionale ed in particolare a Isola delle Femmine (Pa), Catania, San Severo (Foggia), Grosseto, Matera e Bergamo.

QUESTO L’ELENCO DELLE MISURE RESTRITTIVE EMESSE

ARRESTI DOMICILIARI

1.      GATTOLA Toni, titolare di fatto della società di consulenza ambientale OMEGA s.r.l.;

2.      LICCARDI Salvatore;

3.      LICCARDI Eugenio;

4.      LICCARDI Francesco,

titolari della società EU.SA EDILIZIA s.r.l.;

5.      CAPUANO Massimo;

6.      MICILLO Enrico;

7.      PIANURA Gennaro,

titolari della società SAN SEVERINO RICOMPOSIZIONI AMBIENTALI s.r.l.;

8.      RAIANO Francesco, operario presso la cava gestita dalla SAN SEVERINO RICOMPOSIZIONI AMBIENTALI s.r.l.;

9.      CATUOGNO Crescenzo, titolare della società TE.VIN. s.r.l.;

10.  ILLIANO Biagio;

11.  CARANNANTE Antonio;

12.  CARANNANTE Luigi,

titolari della società NEOS,

13.  SEPE Vincenzo, collaboratore della società S.C.G. COSTRUZIONI s.r.l.;

14.  ALIPERTI Angelo, amministratore della società PULITEM s.r.l.;

15.  ALIPERTI Diego, amministratore della società LUFA SERVICE s.r.l.,

OBBLIGO DI DIMORA

1.      RAIANO Francesco, operario presso la cava gestita dalla SAN SEVERINO RICOMPOSIZIONI AMBIENTALI s.r.l.;

2.      BOTTILLO Sara, dipendente della società OMEGA s.r.l.;

3.      LISEVYCH Oleysa, legale rappresentante della società OMEGA s.r.l.;

4.      PROFILE Maria, dipendente della società individuale LICCARDI Salvatore,

I SEQUESTRI

1.      delle Cave SAN SAVERINO RICOMPOSIZIONI AMBIENTALI e NEOS;

2.      degli automezzi delle società EU.SA EDILIZIA s.r.l., della ditta individuale LICCARDI SALVATORE e della TEV. IN s.r.l.

Pomigliano, usura: sequestro beni per 6 milioni di euro a Tommaso Ricci

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Un agente della Direzione Investigativa Antimafia durante le operazioni per la confisca del patrimonio della famiglia Sciacca per un valore di 3 milioni di euro. Il decreto di confisca è stato emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale su proposta del direttore della D.I.A. Il patrimonio confiscato comprende un'impresa di frantumazione di pietre, rapporti bancari, quattro immobili ed una decina di automezzi, Roma, 15 gennaio 2016. ANSA/ UFFICIO STAMPA DIA 

++  ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING  ++

Nelle prime ore della mattinata, al termine di accurate indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di La Spezia, la D.I.A. di Genova e la Guardia di Finanza di La Spezia hanno dato esecuzione, in Sarzana (SP), a decreti di sequestro preventivi di conti correnti bancari, partecipazioni societarie, fabbricati, automezzi, terreni e di un agriturismo per un valore complessivo di 6 milioni di euro, accumulati illecitamente da Tommaso Ricci, nato a Pomigliano d’Arco il 20 marzo 1958 e residente in Sarzana (SP).

Ricci, si legge in una nota, è ritenuto responsabile dei reati di usura, tentata estorsione, in concorso, e trasferimento fraudolento di valori di cui all’art. 12 quinquies della legge 356/1992.

L’indagine è scaturita da una pregressa attività di polizia giudiziaria condotta dalla D.I.A. di Genova che, nel 2014, aveva portato all’arresto del pregiudicato Domenico Romeo, originario di Roccaforte del Greco (RC), imprenditore spezzino contiguo alla ‘ndrangheta, anch’egli per trasferimento fraudolento di valori, in concorso, ed attualmente sottoposto alla misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale per la pericolosità mafiosa.

Esempi eclatanti delle illecite attività poste in essere da Ricci sono l’acquisizione, da un usurato, di un immobile e di un’attività commerciale senza il riconoscimento di alcun compenso, ovvero, come appurato dalla Guardia di Finanza spezzina a seguito di denunce presentate in tal senso, l’impiego da parte dello stesso di elementi appartenenti alla criminalità organizzata di matrice camorrista per l’intimidazione e il recupero del credito.

In sostanza, dall’indagine è emerso come Ricci, da anni, prestasse denaro a persone in difficoltà economiche, che svolgevano attività imprenditoriali e/o artigianali, applicandogli un tasso di interesse del 200% annuo, superando così il c.d. “tasso-soglia” legale.

In questo modo, lo stesso aveva accumulato, con i proventi delittuosi, un notevole patrimonio immobiliare e aziendale, oggi sottoposto a sequestro, la cui proprietà in parte è stata trasferita fittiziamente al figlio, per favorire l’attività di riciclaggio dei beni provento dell’usura.


Torre del Greco, appalto per le luminarie natalizie: indagato l’assessore Mele

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C’è un quinto indagato nell’inchiesta della Procura di Torre Annunziata sull’appalto da 400 mila euro per le luminarie natalizie al comune di Torre del Greco. Si tratta dell’assessore Luigi Mele, fedelissimo del sindaco forzista Ciro Borriello che secondo il pm Rosa Annunziata sarebbe stato ” L’istigatore della turbativa d’asta”. Luigi Mele, assessore ai lavori pubblici e ai servizi tecnologici però si difende sostenendo di non aver ricevuto alcun avviso di garanzia. Ma il suo nome compare nell’avviso di garanzia inviato a Mario Pontillo, dirigente del settore tecnologico del comune di Torre del greco dell’architetto Maria Solo, responsabile del progetto. Con loro due avevano già ricevuto nei giorni scorsi l’avviso di garanzia anche i due titolari delle ditte del doppio bando per le luminarie promosso dal comune. Mele si difende sostenendo “Rispetto al passato la nostra amministrazione ha ridotto le spese per le luminarie garantendo uno spettacolo apprezzato da tutti i nostri cittadini. evidentemente devo aver dato fastidio a qualcuno” Anche il sindaco Borriello lo difende: ” La sua carica di assessore non è in discussione qualora risultasse indagato sono sicuro che riuscirà a dimostrare la sua estraneità ad eventuali accuse”.

 

(nella foto il sindaco di Torre del Greco, Ciro Borriello e l’assessore Luigi Mele)

Napoli: la banda dei supermercati utilizzava gli extracomunitari per i colpi. Tutti i nomi

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Tre dei quattro arrestati della banda di rapinatori dei supermercati di Napoli e provincia sono finiti in carcere. Si tratta di  Antonio Arcone, Tiziano Cincotti e Salvatore Esposito, tutti napoletani della periferia Est. Il quarto – Roman Rusnak – è stato posto agli arresti domiciliari. Le rapine che vengono loro contestate sono state portate a termine fra ottobre 2014 e marzo 2015. Secondo gli investigatori, Cincotti, residente a Cercola, organizzava le rapine nonostante si trovasse già agli arresti domiciliari, in particolare reclutando giovani extracomunitari in stato di indigenza per costringerli a eseguire materialmente i “colpi” da lui progettati evitando così di esporsi e di essere identificato. Era stato arrestato lo scorso anno a Licola dopo oltre un mese di latitanza per la rapina compiuta sempre con le stesse modalità al supermercato Md di Pozzuoli,.Le indagini, condotte dai carabinieri della Compagnia di Pozzuoli e della Tenenza di Cercola, hanno consentito di documentare il modus operandi degli arrestati che, utilizzando sciarpe e scaldacollo, entravano armati nei negozi compiendo anche più rapine nella stessa giornata. Distinto anche il ruolo dei singoli indagati: alcuni avevano funzione di “pali”, altri di esecutori materiali.

Scafati, Alfonsino Loreto: “Ecco perché ho deciso di pentirmi”. Tutti gli uomini del clan

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Trent’anni appena. Ha passato tutta la sua vita nell’orbita di un clan, prima quello del padre Pasquale Loreto, poi la sua famiglia è diventata quella dei Ridosso. “Ho deciso di collaborare perché i miei familiari stanno male, ho due figli piccoli e poi mia sorella è malata”: questa la giustificazione alla decisione di collaborare con la giustizia da parte di Alfonso Loreto che il 23 febbraio scorso racconta, nel primo verbale illustrativo, la sua partecipazione al clan Loreto Ridosso. Racconta di Pasquale Loreto ‘chill’ come lo indica spesso nei verbali che si è mangiato anche ‘i soldi della nonna’ con il quale ha avuto grossi contrasti per la ‘droga’ perché aveva un bisogno continuo di danaro. Sposato con Giovanna Barchiesi, nipote del consigliere Roberto Barchiesi, dalla quale è separato e ha avuto una bambina, è attualmente legato ad Alessia, la sua compagna, dalla quale ha avuto due figli piccolissimi che non portano il suo cognome. Alfonso Loreto comincia la sua collaborazione il giorno dopo il compleanno della prima figlia. E vuota il sacco. Una militanza durata un decennio e giunta all’apice tra il 2007 e il 2009. Un decennio di estorsioni, attentati, affari e appalti ottenuti grazie al potere dell’intimidazione e delle armi. Usura, estorsioni, videopoker e omicidi: questi i temi centrali della collaborazione di Alfonsino Loreto, condito da alleanza e rancori, oltre che di accordi e complicità con il tessuto sociale e politico di Scafati.

La nascita del clan e i capi. All’inizio il capo dell’organizzazione era Salvatore Ridosso, siamo ai primi anni del 2000, e Tore ‘piscitiello’ si impone a suon di botte in città. Vuole mettere le mani sull’affare videopoker e non sopporta che il clan Aquino-Annunziata, alleato con i Muollo, impongano la droga in città. Ma i contrasti si accendono presto e i Muollo, con i quale i Ridosso entrano in collisione, decidono di eliminare ‘Salvatore’. E’ l’inizio della faida, Alfonsino Loreto è minorenne ha appena 16 anni. “Venni convocato da Generoso Di Lauro – ha raccontato il neo pentito – che mi disse di allontanarmi perché stava per succedere qualcosa. Io scesi e avvertii Salvatore, mi sentivo della sua famiglia”. La morte di Salvatore Ridosso, impone a Romolo, il fratello una vendetta e nel giro di un anno i Ridosso tentano di uccidere Generoso Di Lauro e uccidono Luigi Muollo.

Il nuovo clan. “Entrai a far parte del gruppo dopo la fase degli omicidi – dice Alfonso Loreto – e da quel momento in poi la ‘Cassazione’ eravamo io, Gennaro Ridosso e Salvatore Ridosso di Salvatore. Il periodo migliore gli anni dal 2007 in poi”. Ascesa conclusasi solo con l’arresto degli affiliati nel 2014 per la tentata estorsione per conto dell’ottico Ulderico Siano di Salerno. 

“Abbiamo sempre avuto armi, giravamo tutti armati, o addosso o in macchina sempre. Giravamo con armi di piccolo calibro, tranne Gennaro che amava girare con una Magnum P38 corta che po’ ‘amma cummess nu raid’ con questa”. C’era una ‘cassa’ comune delle ari, custodite in una cantina vicino casa dei Ridosso, ma c’era anche una cassa comune per le estorsioni o gli introiti dei videopoker. Già perché Alfonso Ridosso racconta di aver stabilito l’egemonia a Scafati sull’affare slot che fruttava 80 euro a macchinetta installata nei bar e negli esercizi commerciali scafatesi. Tutto attraverso una ditta di Castellammare di Stabia. “nel 2007-2008 il gruppo decise nuovamente di interessarsi al settore dei videopoker, in quel periodo il clan Tammaro-Di Lauro era stato già colpito dalle misure anche se a loro nome vi erano altre persone che lavoravano come Mario Cerbone, Vincenzo Starita, Gianluca Tortora, Raffaele Alfano detto polvere di Stelle”. Chi meglio di Alfonso Loreto conosce gli affari della sua cosca e quelli degli avversari. Il capito di quanto accaduto ‘criminalmente’ a Scafati nell’ultimo decennio è lungo. Il collaboratore di giustizia svela retroscena inediti su episodi commessi dal suo clan ma anche degli altri. L’affare videopoker gestito in monopolio dai Loreto-Ridosso, attraverso un’agenzia di scommesse per la quale avevano un appalto di pulizie, sulla Statale. Funzionava così: il gestore degli impianti, Tommaso De Luca, consegnava ai titolari dello Strike i soldi della mesata e questi poi li giravano a Luigi Ridosso o Alfonso Loreto. Cinquantamila euro l’anno, circa 5mila euro al mese. Ma Alfonsino rivela che a far parte del suo gruppo vi era anche un gruppo già noto a Scafati, capeggiato da Andrea Spinelli, detto Dario. “Ad oggi il gruppo è composto – dice Loreto, da Gennaro Ridosso, Luigi di Salvatore, Alfonso Loreto, Alfonso Morello, Dario Spinelli e Cenatiempo Roberto che si occupa dei proventi illeciti dei videopoker e degli appalti di pulizia e manodopera”. Un decennio in cui non sono mancati screzi con gli avversari. Da una parte i Loreto-Ridosso dall’altro il gruppo più vicino a Franchino Matrone, ovvero al figlio Michele. Proprio Dario Spinelli fu tra le vittime di una ritorsione ‘avversaria’. “L’attentato all’auto di Dario Spinelli che fa parte del nostro gruppo e al quale passavamo 2-300 euro a mese dai soldi delle macchinette, o al quale venivano fatti prestiti – dice Loreto – a suo dire era stato fatto da Carmine Alfano, bim bum bam, perché lo zio della moglie era rimasto in debito per l’acquisto di droga e Spinelli si era fatto garante del pagamento. Non essendo stato onorato il pagamento Carmine Alfano se l’era presa con Spinelli con la bomba carta”.

Rosaria Federico

Napoli: spari contro la casa di due pusher a San Giovanni a Teduccio

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Colpi di arma da fuoco esplosi ieri sera poco dopo le 23.30 contro un’abitazione in corso San Giovanni, a Napoli. L’appartamento al momento degli spari era vuoto. Le due persone che vi abitano, hanno entrambe precedenti per droga e furto. Indagini in corso degli genti della Polizia di Stato del commissariato di San Giovanni. I due hanno spiegato alla polizia di non aver mai avuto minacce e di non sapersi spiegare del perché degli spari.

Arrestato in Calabria un latitante del clan Formicola

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I Carabinieri del Gruppo T.S. di Napoli, del NAS partenopeo e di Cosenza, coadiuvati in fase esecutiva da militari della Stazione Carabinieri di Praia a Mare (CS), nell’ambito di articolata e complessa attivita’ investigativa condotta nei settori di competenza istituzionale, hanno rintracciato e tratto in arresto il catturando Silenzio Leandro, nato a Napoli il 22 settembre 1986, residente in San Giovanni a Teduccio (NA), pregiudicato, affiliato al clan “Formicola”, egemone nell’area orientale di Napoli e contrapposta alla organizzazione camorristica denominata “Mazzarella-D’Amico”. Il Silenzio si era reso irreperibile all’ordine di esecuzione per la carcerazione emesso in data 17 maggio 2016 dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Napoli – Ufficio Esecuzioni Penali, che ne disponeva la carcerazione per l’espiazione della pena residua di anni 5 (cinque) mesi 4 (quattro) e giorni 6 (sei) di reclusione, in quanto riconosciuto colpevole di minaccia, aggravata dal metodo mafioso, e detenzione illegale di armi e munizioni, entrambe dirette ad agevolare le attivita’ dell’associazione mafiosa in quanto il prevenuto, in concorso con altri, avrebbe attentato alla vita di esponente apicale dell’organizzazione criminale contrapposta. Il predetto, allontanatosi dalla citta’, si era recentemente stabilito nel Comune di Tortora (CS), in una casa locata da un parente, al fine di sfuggire alla cattura. Sono in corso le indagini finalizzate all’individuazione di eventuali fiancheggiatori che avevano consentito o comunque agevolato la irreperibilita’ del Silenzio Leandro. L’arrestato, dopo le formalita’ di rito, e’ stato tradotto presso la casa circondariale di Paola (CS).Uno alla volta si sono consegnati o sono stati arrestati tutti e quattro gli esponenti del clan Formicola di San Giovanni a Teduccio condannati in Cassazione nei giorni scorsi per il tentato omicidio di Alfonso D’Amico, avvenuto nel 2013. Dopo Gaetano Formicola “’o chiatto”, il 21enne figlio del capoclan Antonio, consegnatosi in carcere a Spoleto, è toccato a Salvatore Silenzio presentarsi ai poliziotti della Squadra Mobile. Ora all’appello non manca più nessuno. La sentenza per il tentato omicidio di Alfonso D’Amico, esponente del gruppo dei “Gennarella” di via Nuova Villa alleato con i Mazzarella, è diventata definitiva dopo che la Cassazione ha confermato le condanne e sono scattati i provvedimenti restrittivi. La sparatoria avvenne il 21 marzo 2013. In via Nuova Villa erano presenti, in strada, il 47enne Alfonso D’Amico e alcune donne, tra cui la zia, che poi fu decisiva nelle indagini della polizia per identificare i sicari. Il commando arrivò in sella a due moto Transalp e sparò a raffica contro D’Amico, il quale però, rimase illeso. La spedizione punitiva dei Formicola scattò perchè poco prima il nipote di Alfonso D’Amico aveva litigato, mentre era con un amico, in corso SanGiovanni, con due persone che li avevano anche picchiati.

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