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Channel: Cronaca – Cronache della Campania
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Il clan dei Casalesi in Veneto grazie all’infiltrazione del gruppo Bidognetti. I NOMI DEGLI ARRESTATI

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Il clan dei Casalesi in Veneto. I nomi. Le indagini hanno consentito di evidenziare come l’organizzazione risulti formata già alla fine degli anni ’90 da Luciano Donadio, 53enne di Giugliano e residente ad Eraclea, Raffaele Buonanno, 60enne di San Cipriano d’Aversa domiciliato a Casal di Principe ed Eraclea, Antonio Buonanno, 57enne di San Cipriano d’Aversa e residente a Casal di Principe. Con gli ‘organizzatori c’era poi un folto gruppo di persone originarie di Casal di Principe e dell’agro aversano, tra cui Antonio Puoti, Antonio Pacifico, Antonio Basile, Giuseppe Puoti, Nunzio Confuorto, poi implementata da altri soggetti campani e non come Girolamo Arena, Raffaele Celardo, Christian Sgnaolin.
I ruoli e le parentele con Bidognetti
Leader del gruppo camorristico erano Luciano Donadio e Raffaele Buonanno, quest’ultimo imparentato tramite la moglie con esponenti di vertice dai clan Bianco e di Francesco Bidognetti, ‘cicciotto e mezzanotte’. Il clan, come emerge dall’inchiesta, si era insediato nel Veneto orientale rilevando il controllo del territorio dagli ultimi epigoni locali della “mafia de Brenta”, con i quali sono stati comprovati i contatti.
Il controllo di edilizia e ristorazione
Dall’indagine risulta inoltre come, con violenza e minacce, il clan agiva per conquistare il controllo delle attività economiche, in particolare nel ramo dell’edilizia e della ristorazione, oltre ad imporre ai sodalizi criminali limitrofi un ‘aggio’ per il narcotraffico e lo sfruttamento della prostituzione. L’organizzazione sgominata ha operato inizialmente soprattutto nel settore dell’edilizia, dedicandosi all’usura e alle estorsioni, specializzandosi poi nel settore delle riscossioni crediti per conto di imprenditori locali.
I soldi per le ‘famiglie’ di Casal di Principe
Una quota dei profitti del gruppo camorristico era poi destinata a sostenere finanziariamente i carcerati di alcune storiche famiglie di Casal di Principe, cui l’organizzazione era legata e della quale costituiva il gruppo criminale referente per il Veneto orientale.
Armi, truffe e false fatture
Per affermare l’egemonia sul territorio il gruppo camorristico ha fatto largo uso di armi da guerra, utilizzate per compiere attentati intimidatori anche ai danni di ditte concorrenti. Nel corso dell’indagine sono state sventate anche alcune rapine commesse dal sodalizio criminale: in una di queste, in provincia di Treviso, alcuni membri del gruppo erano stati anche tratti in arresto. Nel tempo l’organizzazione si era poi finanziata anche con la produzione di false fatture per milioni di euro grazie ad una fitta rete di aziende intestate a prestanome, oltre a compiere truffe all’Inps attraverso false assunzioni allo scopo di lucrare indebitamente l’indennità di disoccupazione per 700mila euro.
Il direttore di banca complice
In carcere è finito anche Denis Poles, direttore di un istituto di credito di Jesolo, complice come il suo predecessore (indagato a piede libero) in quanto consentiva al gruppo criminale di operare su conti societari senza averne il titolo, concordando con loro l’interposizione di prestanome e omettendo di segnalare operazioni sospette.
L’agente di polizia arrestato
Nell’indagine è coinvolto anche un agente della Polizia di Stato, Moreno Pasqual, accusato di aver fornito informazioni riservate ai malavitosi sulle indagini nei loro confronti. Il tutto avveniva tramite un accesso illecito alle banche dati della polizia.
Chi è Bidognetti.Nato nel 1951 a Casal di Principe, soprannominato Cicciotto ‘e Mezzanotte, viene arrestato il 18 dicembre 1993 e recluso sotto il regime del 41 bis. Nel clan le sue attività criminali convergevano principalmente sullo smaltimento illegale dei rifiuti urbani, industriali e tossici, attività per cui è noto alla magistratura già all’inizio degli anni novanta. Negli anni novanta ordina l’assassinio del medico Gennaro Falco, colpevole di non aver diagnosticato in tempo una neoplasia alla prima moglie, Teresa Tamburrino. Per l’omicidio del medico qualche anno dopo viene accusato uno dei figli di Francesco Bidognetti, Raffaele, per questo arrestato.La compagna, Anna Carrino, fu arrestata nel 2007 con l’accusa di fare da tramite tra il marito recluso e il clan recapitando pizzini. Grazie alle sue rivelazioni, nell’aprile del 2008, vengono emesse 52 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di altrettanti affiliati al clan tra cui il figlio Raffaele. Il clan per ritorsione ferisce in un agguato la nipote anche se si presume che l’obiettivo fosse la madre della ragazza, sorella della Carrino.La sua amante, Angela Barra, egemone nel territorio di Teverola, curava le alleanze politiche ed economiche del clan.n nuovo provvedimento di custodia viene emesso dalla Dia di Napoli l’11 dicembre 2012 con l’accusa di disastro ambientale. Bidognetti avrebbe avvelenato falde acquifere per favorire il clan dei Casalesi.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018


Salerno, affitti in nero agli immigrati: blitz nel centro storico

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Blitz a Salerno della Guardia di Finanza e della Polizia Municipale contro i fitti in nero di immobili agli immigrati clandestini. Nel corso degli interventi, a cui ha preso parte anche personale tecnico del Comune e dell’Asl di Salerno, chiamato a verificare il rispetto delle condizioni minime di abitabilità ed igienico sanitarie, sono stati controllati quattro edifici, tutti ubicati nel centro storico della città. All’atto dell’accesso presso gli appartamenti controllati – abitati prevalentemente da cittadini del Bangladesh – è apparsa subito evidente una situazione di notevole sovraffollamento: in alcuni casi è stato constatato che in stanze di pochi metri quadrati dormivano fino a otto persone, sistemate in letti a castello o su giacigli di fortuna ed in condizioni igienico sanitarie molto precarie. I controlli hanno interessato 8 appartamenti, all’interno dei quali sono stati identificati 68 cittadini extracomunitari (62 del Bangladesh, 3 del Pakistan, 3 dello Sri Lanka).
In 4 sono risultati privi del permesso di soggiorno e pertanto sono stati condotti presso la locale Questura per gli accertamenti di rito, legati all’eventuale emissione del provvedimento di espulsione. Agli stessi, dopo le verifiche del caso, sono stati notificati altrettanti inviti a lasciare il territorio dello Stato nei successivi 5 giorni. Nel corso delle attività sono state rilevate, inoltre, 25 violazioni amministrative consistenti nella mancata comunicazione della dichiarazione di ospitalità alla locale Questura e mancata iscrizione nelle liste anagrafiche del Comune di Salerno, con le conseguenti sanzioni per un totale di 4.730 euro. Il relativo sovraffollamento, nonché le precarie condizioni igienico sanitarie degli immobili, è all’esame dei tecnici per l’adozione dei provvedimenti del caso, compresa l’emissione di ordinanze di sgombero.

Cronache della Campania@2018

Napoli, fucile nascosto in un borsa recuperato al Vasto

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Un fucile con canna e il calcio tagliati ed alcune cartucce è il sequestro a carico di ignoti che gli agenti dell’Ufficio Prevenzione Generale hanno operato ieri mattina. Intorno alle 11.30 i poliziotti, a bordo di una volante, nel transitare per via Venezia, hanno notato un borsone a terra da cui spuntava una canna di fucile. Gli agenti hanno recuperato immediatamente la borsa facendo la scoperta. Fucile e cartucce sono stati sequestrati e sottoposti agli esami balistici della Polizia Scientifica.

Cronache della Campania@2018

Camorra, il pentito: ‘Ecco perchè fu ucciso Salvatore Esposito a Materdei’. Il boss Sequino dal carcere: ‘Vastarella ha le corna e gli devo far uscire il fegato dalla bocca…’

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“…faccio presente che proprio per lo sconfinamento fatto da Totore Esposito che era andato a riscuotere una tangente dai parcheggiatori abusivi dietro al teatro Bellini, zona di competenza del clan Lepre, fu la causa della sua uccisione. Totore Esposito, in realtà, una volta fuoriuscito dal clan Lepre, ha iniziato a gestire le attività illecite nella zona del Cavone di piazza Dante ed a un certo punto si è alleato con Totore Sequino con quale divideva la metà dei suoi proventi illeciti…”. A spiegare il movente e i mandanti del clamoroso agguato del 3 agosto del 2016 in vico Nocelle a Materdei è stato il pentito Rosario De Stefano, uomo del rione Sanità legato a doppio filo al clan Lo Russo di Miano. Nell’agguato rimasero uccisi il ras emergente Salvatore Esposito detto ‘sandokan’, Ciro Marfè uomo dei Sequino e ferito Pasquale Amodio elemento apicale dello stesso clan (da ieri in carcere). Dopo quello agguato tuto è cambiato nel rione Sanità. Lo scenario criminale ha avuto dei mutamenti improvvisi e si è scatenata una interminabile faida tra i Vastarella autori del ‘tradimento’ e i Sequino i ‘traditi’. Nell’ordinanza composta da 514 pagine firmata dal gip Emilia Di Palma e che ieri ha portato all’arresto die 29 persone dei gruppi criminali coinvolti nella nuova faida del rione Sanità viene raccontato tutto lo scenario e i protagonisti di questo scontro. Una data spartiacque è rappresentata senza dubbio dal 3 agosto 2016 tanto è vero che dopo quella data i due fratelli Salvatore e Nicola Sequino, sebbene in carcere continuavano a impartire ordine e giurano vendetta nei confronti dei Vastarella. Emblematica a tal proposito è la conversazione intercettata nel carcere di Vibo Valentia il 10 agosto del 2016 (quindi sei giorni dopo l’agguato) tra il boss Salvatore Sequino che era detenuto, la moglie Sonia Esposito (da ieri agli arresti domiciliari), il cognato Silvestro Pellecchia e il nipote Giovanni Sequino (entrambi in carcere da ieri) mostrando forte risentimento nei confronti di Patrizio Vastarella dice:  “…quello ha le corna è un infame e gli deve uscire il fegato da bocca perché se Gesù Cristo mi da la fortuna di uscire da qua dentro devo andare la dentro e lo devo pisciare nelle Fontanelle sei un fallito e sei un uomo di merda e tieni anche le corna…”.
Secondo il boss detenuto quell’agguato non doveva essere commesso perché Salvatore, ossia Esposito ‘Sandokan’, era un loro compagno ed inoltre, quando si erano avveduti della presenza di Pasquale e Ciro, ossia Pasquale Amodio e Ciro Marfè, Patrizio Vastarella, avrebbe dovuto annullare l’azione delittuosa; visto che ciò non era accaduto ne avrebbe subito le conseguenze “….perché è lui è lui, era una cosa di Totore, non lo dovevi fare perché sono anche compagni a noi, è uno, secondo quando hai visto che è venuto Pasquale e Ciro gli dovevi dire che non dovevano fare nulla, avete fatto? E adesso ti devi prendere le conseguenze…”. Il pentito Rosario De Stefano ha spiegato nei dettagli (contenuti nell’ordinanza con una serie di omissis)cosa sarebbe accaduto: Ecco il suo racconto:

“…Totore Esposito era il reggente, per conto dei Sequino della Sanità, del clan del Cavone di Piazza Dante; so per certo che Totore Esposito entrò in contrasto con il clan della zona di Piazza Mazzini,… omissis… ebbene, Totore Esposito …omissis….era entrato in contrasto con i menzionati soggetti di piazza Mazzini per la divisione del territorio dove venivano compiute le estorsioni ai parcheggiatori nei pressi di piazza Bellini. Su tale circostanza posso riferire nel dettaglio dal momento che io ho fatto il “doppio gioco” da una parte per conto di Totore Esposito e dall’altra di omissis e gli altri, nel senso che Totore Esposito mi diede un telefonino bianco a sua volta datogli da Giovanni Sequino con una scheda dedicata e mi chiese di fare da specchiettista volendo uccidere i componenti del gruppo di Piazza Mazzini (promettendomi in cambio 3000 euro e diverse dosi di cocaina) e dall’altra il omissis e gli altri (ai quali io andai a riferire che Totore Esposito li voleva ammazzare) mi chiesero a loro volta di “filargli” Totore Esposito consentendogli di ammazzarlo a loro volta. Preciso che io, avendo paura, non ho filato né l’uno né l’altro ed anzi ho riferito tutto confidenzialmente alla Squadra Mobile, nel senso che sono andato in Questura alla Squadra antirapina e poi alla Squadra omicidi dove ho raccontato tutto consegnando anche nelle mani del personale della Squadra omicidi il menzionato telefonino bianco che mi era stato dato dal Totore Esposito che poi mi fu restituito.
Sempre nel contesto di questo contrasto apertosi tra Totore Esposito (referente dei Sequino) da una parte e il clan di Piazza Mazzini dall’altra, so per certo che ad un certo punto fu interpellato come garante e come paciere Patrizio Vastarella, che poi è quello che si è venduto Totore Esposito; nel dettaglio fu chiesto a Vastarella Patrizio di presenziare ad una riunione che si tenne a vico Nocelle dove parteciparono Patrizio Vastarella, Antonio Vastarella, il figlio di Lelluccio o Femminiell chiamato Tony o Tommy, Fabio Vastarella e Maicol o nir, Totore Esposito, Genny o Cecato, Pasquale Amodio, o chiattone (che poi è morto con Totore Esposito), o Barone e tale Milk; tale riunione si tenne a casa di uno che si chiama o scognato, luogotenente di un clan del Vomero… omissis…
dopo l’omicidio di Totore Esposito compiuto, come ho detto, grazie a Patrizio Vastarella si è creato una alleanza, capeggiata dai Vastarella, che comprende (oltre ai Vastarella) i “ragazzi di piazza Mazzini” – e cioè omissis e gli altri e un gruppo del Vomero (al riguardo sottolineo che la riunione che ha preceduto l’omicidio di Totore Esposito si è svolta a casa dello scognato che è un esponente del clan del Vomero)….
Totore Esposito aveva regalato 7/8 pistole, qualche fucile a pompa e qualche AK 47 e qualche giubbotto antiproiettile a Salvatore Sequino prima che venisse arrestato, penso nel 2015; queste informazioni mi furono fornite da Totore Esposito col quale avevo ottimi rapporti; con lui sono anche andato in Spagna unitamente ad Enzo Criscuolo e Gennaro detto “palli palli”, dove avremmo dovuto commettere dei reati che non riuscimmo a portare a termine perché appena arrivati al porto di Barcellona la Guardia Civile ci sequestrò l’autovettura ed arrestò Gennaro “palli palli” perché era in possesso di documenti falsi…”.

Rosaria Federico

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(nella foto da sinistra in alto Salvatore Sequino, Nicola Sequino, Gianni Gianni Sequino, Silvestro Pellecchia, Patrizio Vastarella, Salvatore Esposito, Ciro Marfè, Pasquale Amodio)

Cronache della Campania@2018

Aveva ucciso due agenti di polizia a Napoli dopo una fuga dal carcere per un permesso premio: ci riprova a Pescara ma viene rintracciato e arrestato

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Ergastolano napoletano non rispetta il permesso premio ma viene rintracciato dalla polizia e arrestato. Si tratta di Giovanni Carola, 53 anni di Casoria, non nuovo ad episodi di evasione. La vicenda è avvenuta nel fine settimana a Pescara. L’uomo, nel 1993, in carcere per un omicidio, evase da un permesso premio e dopo qualche mese uccise due poliziotti a Napoli, in via Medina. I poliziotti che lo avevano fermato per controlli lo stavano portando in questura insieme con altre persone fermate. Nell’auto con lui c’era il fratello Salvatore, entrambi di Casoria. Gli agenti erano con le auto di servizio. Giovanni Carola durante il tragitto estrasse una pistola sfuggita al controllo dei poliziotti e fece fuoco alla testa dei due agenti uccidendo sul colpo l’agente Michele Del Giudice  e ferendo mortalmente il sovrintendente Gennaro Autuori che morì dopo qualche giorno in ospedale. I due fratelli furono catturati dopo due giorni. Giovanni Carola che era in carcere a Foggia per un omicidio passionale anche in qualche caso era evaso per un permesso premio.Ieri su disposizione del magistrato di sorveglianza di Pescara, al 53enne era stato concesso un permesso premio presso il proprio domicilio, nel capoluogo adriatico. Gli agenti della squadra Volante hanno eseguito un controllo nell’abitazione e, dopo ripetuti passaggi, hanno appurato che l’uomo non era in casa. Si é infatti reso reperibile solo il mattino seguente. Per questo motivo il 53enne é stato arrestato e condotto in carcere.

Cronache della Campania@2018

Castellammare, il cartello a Savorito secondo il gip: ‘E’ stata una gravissima minaccia di morte prospettata ai collaboratori di giustizia’

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Castellammare. E’ stata “una gravissima minaccia di morte prospettata ai collaboratori di giustizia”.Lo dice il gip Valeria Montesarchio che ha firmato i tre provvedimenti di divieto di dimora fuori dalla Campania per i tre maggiorenni del gruppo di cinque giovani che la sera dell’8 dicembre scorso nel quartiere Savorito di Castellammare inscenarono la clamorosa protesta con il lenzuolo sul fucaracchio e la scritta “Così devono morire i pentiti, abbruciati!’ e con accanto un manichino impiccato. Ma quello non fu l’unico episodio deplorevole avvenuto quella nel Rione Savorito. Un’informativa dei carabinieri riferisce anche di un altro evento, successo nel limitrofo Rione Moscarella, quella stessa sera. Un noto cantante neo melodico, originario di Boscoreale e ritenuto vicino al clan Gionta di Torre Annunziata tanto da essere stato in carcere per alcuni anni accusato di traffico di droga, ha ringraziato pubblicamente, dal palco, il ras Salvatore Imparato, zio di uno dei tre ragazzi destinatari oggi dei divieti di dimora in Campania emessi dal gip e notificati da Polizia e Carabinieri. Rivolgendosi ai presenti l’artista ha voluto esprimere i suoi personali ringraziamenti “a Salvatore della Faito (il quartiere della periferia stabiese è noto anche come ‘Aranciata Faito’, ndr) per avere reso possibile tutto questo (ovvero la manifestazione, ndr)”. Il Rione Savorito, secondo le indagini e secondo alcuni collaboratori di giustizia, è una nota piazza di spaccio di Castellammare gestita dagli Imparato, famiglia legata al clan D’Alessandro.  L’8 dicembre scorso, la fitta coltre di fumo generata dal rogo della catasta di legno, alta 7-8 metri, non consenti’ alle forze dell’ordine di vedere quanto stava accadendo. Le indagini scattarono subito dopo la pubblicazione su facebook di un video – diventato virale – girato da una donna. Furono quelle immagini a consentire l’individuazione dei tre maggiorenni, Francesco Imparato, Antonio Artuso e Daniele Amendola e dei due minorenni, oggi destinatari delle misure cautelari. Durante le dichiarazioni spontanee rese agli investigatori, alcuni degli indagati hanno ammesso di avere commesso il fatto.

Cronache della Campania@2018

L’Antitrust apre una istruttoria sui Radiotaxi di Napoli

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L’Antitrust ha avviato un procedimento istruttorio per possibile intesa restrittiva della concorrenza nei confronti delle quattro imprese di gestione del servizio radiotaxi a Napoli, ossia Consortaxi, Taxi Napoli, Radio Taxi Partenope e Desa Radiotaxi semplificata (nota sul mercato come “La570”), cui aderiscono oltre l’80% dei tassisti attivi a Napoli. La decisione, informa una nota, e’ stata presa a seguito delle segnalazioni ricevute dalle società DigiTaxi e Mytaxi Italia. In particolare, spiega il comunicato, il procedimento riguarda un presunto accordo anticoncorrenziale tra i quattro gestori di radiotaxi napoletani, teso a ostacolare l’ingresso di piattaforme concorrenti – come DigiTaxi e Mytaxi – nel mercato della fornitura di servizi di raccolta e smistamento della domanda del servizio taxi nel Comune di Napoli.

Cronache della Campania@2018

Parcheggiatori abusivi rigano le auto dei residenti in sosta a Santa Lucia

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“Ci è giunta una segnalazione da un residente di Santa Lucia che ci ha mostrato i danni inferti alla sua autovettura dai parcheggiatori abusivi che infestano la zona. I delinquenti non gradiscono che le auto di chi abita in zona sostino nelle strisce blu dove loro piazzano abusivamente le vetture dei propri clienti. E per convincerli rigano la carrozzeria. Lo fanno di notte, vigliaccamente, da criminali quali sono”. Lo denuncia il consigliere regionale dei Verdi Francesco Emilio Borrelli. “Si tratta dell’ennesimo caso. Nel weekend una persona è stata allontanata dalla polizia municipale. Purtroppo queste misure non risolvono il problema. Gli abusivi vengono prontamente sostituiti dai familiari. Continuiamo a ripetere che tali individui devono finire in carcere. La nostra petizione per chiedere al governo di emettere i decreti attuativi dell’art. 21 del Decreto Sicurezza, che prevede l’arresto dei parcheggiatori abusivi, è ancora firmabile online sulla piattaforma Change.org. Chiediamo alle persone perbene di sostenerci nella battaglia. E’ ora di dire basta alla prepotenza dei delinquenti”.

Cronache della Campania@2018


La Cassazione: “Il Decreto sicurezza non è retroattivo e non si applica per i soggiorni umanitari”

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Il dl sicurezza, convertito in legge, non ha effetto retroattivo e non si applica quindi ai casi di richiesta di permesso di soggiorno per motivi umanitari prima della sua entrata in vigore. Lo ha stabilito la sentenza numero 4890 del 19 febbraio 2019 della Corte di Cassazione, prima sezione civile. Chiamata a decidere sul rigetto da parte del Tribunale di Napoli delle domande di protezione internazionale ed umanitaria proposte da un cittadino della Guinea, la Corte pur rigettando nel merito il ricorso, ha individuato in via preliminare il “paradigma legislativo applicabile alla domanda relativa all’accertamento delle condizioni per il riconoscimento di un titolo di soggiorno sostenuto da ragioni umanitarie, essendo nel corso del giudizio, e più esattamente in pendenza del procedimento davanti la Corte di Cassazione, intervenuto il d.l. n. 113 del 2018 convertito con modificazioni nella l. n .132 del 2018 e in vigore dal 5 ottobre 2018, che ha mutato la disciplina legislativa previgente relativa alle condizioni per il riconoscimento del diritto ad un permesso per ragioni umanitarie”. Quindi ha stabilito che “la normativa introdotta con il decreto legge numero 113 del 2018, convertito nella legge numero 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dall’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998 e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge, le quali saranno pertanto scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione”. In ogni caso, vista la sopravvenuta disciplina, i permessi di soggiorno per motivi umanitari rientreranno nei “casi speciali” e ne recheranno la dicitura: “Tuttavia – spiega infatti la Cassazione – in tale ipotesi, all’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base dei presupposti esistenti prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 113 del 2018, conv. nella l. n. 132 del 2018, farà seguito il rilascio da parte del Questore di un permesso di soggiorno contrassegnato dalla dicitura ‘casi speciali’ e soggetto alla disciplina e all’efficacia temporale prevista dall’art. 1, comma 9, di detto decreto legge”.

Cronache della Campania@2018

Bullismo, la mamma di Arturo all’Università: “Mio figlio simbolo di una città ferita”

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Benevento. “Mio figlio Arturo è il simbolo di una città ferita non solo un ragazzo accoltellato. Una città che torna a sanguinare per malattie strutturali come l’abbandono scolastico, il disagio sociale, le povertà educative e la mancanza di lavoro. Se non riusciamo a prenderci cura dell’infanzia e dell’adolescenza non ci sara’ futuro per il nostro Paese”. Maria Luisa Iavarone, la mamma di Arturo, il ragazzo accoltellato da una baby gang nel dicembre del 2017 a Napoli, è intervenuta a Benevento all’incontro promosso dall’Università del Sannio sul tema “Il caso Arturo. Le nuove frontiere della lotta al bullismo”. Oltre a Iavarone, ai lavori hanno preso parte, tra gli altri, il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Benevento Aldo Policastro, e il procuratore aggiunto Giovanni Conzo.

Cronache della Campania@2018

Camorra: assolto il boss Ciro Mariano, pena ridotte per tutti gli affiliati

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Napoli. La notizia più eclatante è l’assoluzione al boss Ciro Mariano da circa un anno libero completamente dopo 30 anni circa trascorsi in carcere ininterrottamente, La sentenza è stata pronunciata in un’aula blindata e per ben due volte il giudice ha dovuto richiamare gli astanti. Sopratutto quando ha letto l’ultima parte del dispositivo che confermava le assoluzioni e dimezzava le pene. Si é chiuso così il processo al clan Mariano dei Quartieri Spagnoli di Napoli, con l’assoluzione del boss Ciro Mariano. Questa la decisione: pene dimezzate per tutti gli imputati, tra loro il figlio di Ciro, Marco Mariano, difeso dall’avvocato Gaetano Inserra, che é stato condannato a 4 anni. Stessa decisione anche per Fabio Mariano (4 anni), Raffaele Mariano (6 anni) e Salvatore Mariano (4 anni). Pena ridotta anche per Eduardo De Crescenzo, Antonio Masiello, Vincenzo Ricci e Annamaria Dresda, che rischiavano condanne superiori a 10 anni. Erano difesi tutti dall’avvocato Giuseppe De Gregorio. Per Antonio Esposito, soprannominato “Pallino”, difeso dall’avvocato Leopoldo Perone, 4 anni di reclusione e scarcerazione immediata. Armando Perrella, difeso dall’avvocato Giovanni Fusco, rischiava una condanna a 13 anni ed é stato condannato a 6 anni: inammissibile il ricorso del pm sull’associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. Era considerato il braccio destro di Mariano e come gli atri é tornato in libertà. L’indagine del settembre del 2016 portò in carcere oltre trenta persone, quasi tutte considerate vicine al clan Mariano dei Quartieri Spagnoli. Le accuse erano di associazione camorristica, estorsione e riciclaggio: secondo la Procura molti dei soldi illeciti venivano riciclati in negozi che vendevano pesce e in altri che fornivano latticini. Tra gli imputati anche Ernesto Tecchio, genero dei Mariano, che é stato condannato a sei anni di reclusione. Confermate tutte le assoluzioni di primo grado. In ballo c’erano anche le ipotesi di estorsione aggravata, in quanto avrebbero imposto i loro prodotti alimentari ai commercianti di mezza Napoli, e di traffico di droga, poi-ché grazie ad accordi con altre cosche erano riusciti a gestire le piazze dello spaccio per la movida.

CARDAROPOLI ANTONIO 4 ANNI
CINQUE PATRIZIA 4 ANNI – LIBERA
DE CRESCENZO EDUARDO – LIBERO
DRESDA ANNAMARIA 4 ANNI – LIBERA
ESPOSITO ANTONIO 4 ANNI . LIBERO
FRATTINI UMBERTO 8 ANNI – LIBERO
GAETANO LUISA 4 ANNI – LIBERO
MAGRELLI COSTANZO 5 ANNI – LIBERO
MARIANO FABIO 4 ANNI – LIBERO
MARIANO MARCO ’76 4 ANNI – LIBERO
MARIANO MARCO ’55 18 ANNI
MARIANO RAFFAELE 6 ANNI – LIBERO
MARIANO SALVATORE 4 ANNI – LIBERO
MASIELLO ANTONIO 4 ANNI – LIBERO
OVERA MAURIZIO 3 ANNI
PERRELLA ARMANDO 4 ANNI – LIBERO
QUINZIO MARIA – LIBERA
RICCI VINCENZO 6 ANNI – LIBERO
ROMANO CIRO 4 ANNI – LIBERO
ROSSI FABIO 1 ANNO – LIBERO
TECCHIO ERNESTO 6 ANNI
TORTORA MARIO 4 ANNI – LIBERO

Cronache della Campania@2018

Incidente in autostrada tra Caianiello e Capua: muore un automobilista

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Schianto sull’autostrada del Sole tra Caianello e Capua, a pochi chilometri dall’area di servizio di Teano in direzione Caserta. Stando ad una primissima ricostruzione l’incidente sarebbe stato provocato da un tamponamento tra un’auto di grossa cilindrata, una Jaguar, contro un tir di grosse dimensioni. A perdere la vita sarebbe stato il passeggero che viaggiava a bordo della vettura.
Sul posto sono immediatamente giunti i mezzi di soccorso. Il conducente del veicolo è stato estratto ancora vivo dai vigili del fuoco e trasportato in ospedale. Le sue condizioni sono critiche. Per l’amico che viaggiava con lui, purtroppo, non c’è stato nulla da fare. Sul posto la polizia stradale che sta effettuando i rilievi per ricostruire quanto accaduto. L’incidente, a quanto pare, ha provocato qualche ripercussione sul traffico, nonostante sembra che gran parte della carreggiata sia rimasta libera dopo lo schianto. Al momento, secondo quanto fa sapere Autostrade per l’Italia, si registrano 2 chilometri di coda.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Scambiarono un’aneurisma addominale per un appendicite: 8 medici dell’ospedale di Caserta a processo per omicidio colposo

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Per 8 medici dell’ospedale civile di Caserta, il pubblico ministero della omonima procura Vincenzo Quaranta, ha chiesto il rinvio a giudizio, contestando il reato di omicidio colposo compiuto in concorso per la morte, avvenuta il 4 agosto del 2013, durante un intervento chirurgico di Andrea Arzillo di Santa Maria Capua Vetere.
La vicenda somiglia a tante altre. In piena estate, arriva una persona con forti dolori, affermando di avvertire una forte colica renale. Una prima diagnosi dell’ospedale certifica una colica addominale da sospetta appendicopatia, in pratica, un attacco di appendicite. Intanto passano le ore e finalmente dalla TAC si capisce che non è un’appendice, bensì si tratta di un aneurisma dell’aorta addominale. Solamente che l’autore di quell’esame, cioè il medico radiologo, Giovanni Moggio diagnostica una circonferenza di soli 3 centimetri, quando invece lo spessore era di gran lunga maggiore.
Gli altri medici, divenuti ora imputati, Francesco Mariano, di Curti, Donato Sciano, di Caserta, Sergio Sgueglia, di Napoli, Antonello Maresca,di Ercolano, Raffaele Carbone di Caserta, Giuseppe Coppola, di Caserta, Raffaele Carotenuto di Pompei, sono accusati di non aver valutato correttamente i sintomi avvertiti da Andrea Arzillo e collegati ad una pesante patologia acuta di aneurisma.
Si è andati avanti così per diversi giorni con i medici che, sempre secondo la ricostruzione della Procura di Santa Maria Capua Vetere, si sono adagiati sull’esito della citata TAC dei 3 centimetri di circonferenza, senza rivalutare il caso, senza farsi assalire dal dubbio, che stante quei dolori sempre più lancinanti che non riuscivano ad essere leniti con nessun analgesico ordinario, poteva essere utile, se non decisivo, ripetere l’accertamento, rifare la TAC in modo da riverificare lo stato e l’ampiezza dell’aneurisma. Quando se ne sono accorti, era già troppo tardi e, per l’appunto, il 4 agosto del 2013, Arzillo si spegneva durante un intervento chirurgico alla disperata.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Omicidio Mollicone, la perizia del Ris inchioda l’ex maresciallo di Arce e suo figlio. Il padre: “Serena troverà pace”

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Frosinone. Un’informativa di centinaia di pagine nella quale si ricostruisce l’omicidio di Serena Mollicone. Per i carabinieri del comandando provinciale di Frosinone ed i colleghi del Ris a colpire Serena sarebbe stato Marco Mottola, figlio dell’ex comandante della caserma di Arce. L’alterco, sfociato poi in omicidio, sarebbe avvenuto in uno degli alloggi in disuso presso la struttura militare. L’informativa, consegnata al magistrato titolare delle indagini, il sostituto procuratore Maria Beatrice Siravo, contiene anche il ruolo di ogni indagato in questa vicenda. Oltre al giovane Marco Mottola a finire nel mirino degli investigatori sono stati il padre Franco, la madre Anna e due carabinieri che all’epoca dei fatti era in servizio presso la caserma di Arce. I due militari sono indagati, uno per favoreggiamento e l’altro per istigazione al suicidio del brigadiere Santino Tuzi che si ammazzò nel 2008, il giorno prima di essere ascoltato in merito all’omicidio.
La perizia dei Ris è contenuta in un’informativa consegnata alla Procura di Cassino nella quale in sostanza si ribadisce ciò che era emerso dall’atto istruttorio: per la morte di Serena Mollicone, uccisa il 1 giugno del 2011, le indagini conducono a Marco Mottola e al padre Franco. I due, con la moglie di quest’ultimo Anna sono infatti da tempo iscritti nel registro degli indagati per omicidio volontario in concorso e occultamento di cadavere. Secondo quanto emerso dalla perizia dei Ris Serena Mollicone, studentessa 18enne, sarebbe stata colpita negli alloggi della caserma al culmine di una lite. Successivamente il cadavere sarebbe stato spostato nel boschetto dell’Anitrella dove poi è stato trovato. La perizia medico-legale infatti indica una compatibilità tra lo sfondamento della porta dell’alloggio della caserma dei carabinieri di Arce e la frattura cranica riportata da Serena Mollicone. L’informativa raccoglie tutto il materiale investigativo su un delitto avvenuto 18 anni fa. Ora il pm dovrà valutare come proseguire.
“A 8 anni dall’iscrizione nel registro degli indagati ancora non si sa come andrà a finire la loro vicenda processuale” commenta l’avvocato Francesco Germani, legale della famiglia Mottola sottolineando di essere “sicuro dell’innocenza” dei suoi assistiti. La vicenda giudiziaria dell’omicidio della diciottenne Serena è stata tortuosa. Due anni dopo il delitto fu arrestato con le accuse di omicidio e occultamento di cadavere Carmine Belli, un carrozziere poi prosciolto da ogni accusa dalla Cassazione. Il caso sembrava destinato a restare un mistero. Ma i dubbi, soprattutto quelli sui depistaggi, erano troppi. Le indagini sono poi proseguite anche attraverso sofisticati accertamenti scientifici per arrivare alla verità. Arrivò così la perizia dei Ris a segnare una svolta concreta.
“Serena troverà finalmente pace, dopo più di 17 anni”. Guglielmo Mollicone ripercorre il caso della figlia, ritrovata cadavere nel bosco di Fonte Cupa ad Anitrella con un sacco in testa, stretto con nastro adesivo, carta in bocca, oltre a mani e piedi legati. “La verità sta uscendo fuori, nonostante i depistaggi” dice, commentando quanto trapelato dalla relazione conclusiva dei carabinieri del comando provinciale di Frosinone e dai colleghi dei Ris, depositata ieri pomeriggio in Procura a Cassino. “Ho sempre avuto il timore che potessero anche scappare, ora devono pagare, voglio che li arrestino. Temo che possano scappare anche con dei passaporti falsi. Per me non è stato soltanto il figlio dell’ex comandante della stazione dei carabinieri locale, come sostengono gli inquirenti nell’informativa, perché il giovane potrà avere anche avuto uno scatto d’ira, ma la mia ‘bambina’ poteva essere salvata e, invece, è morta soffocata. Serena ha perso tanto sangue, non respirava. E’ morta dopo 4 o 5 ore e, non per il colpo ricevuto, ma per il sacchetto in testa che non le permetteva di respirare. Per me la colpevolezza è anche dei genitori. L’ho sempre detto”. “Colpevoli di sicuro moralmente per me anche i militari presenti, due, uno è morto – conclude il papà -, che l’avranno sentita urlare e non sono intervenuti. Da un tutore dell’ordine, sinceramente, mi aspetto di più”.

Cronache della Campania@2018

Camorra, la polemica di Sandro Ruotolo. ‘Le richieste di arresto dei clan del rione Sanità aspettavano da un anno’

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“L’altro giorno nel quartiere del rione Sanità a Napoli le forze dell’ordine hanno compiuto una trentina di arresti. Quelle richieste di arresto giacevano in procura da più di un anno. Se i tempi della giustizia fossero stati più celeri non avremmo avuto le stese”. Lo ha detto il giornalista Sandro Ruotolo in un’intervista di Paolo Borrometi per il Tg2000, il telegiornale di Tv2000, in onda stasera alle 18.30. “Nelle famiglie di Camorra – ha spiegato Ruotolo – ci sono sempre stati minori al servizio, noi li chiamavamo negli anni 80 i muschilli. C’erano le mamme che vendevano le sigarette e la droga che nascondevano nei pannolini dei bambini per stare in strada e venderla davanti a tutti. Quindi il fenomeno delle paranze in realtà c’è sempre stato. Finisce il trentenne in galera lo sostituisce il ventenne, finisce il ventenne in galera lo sostituisce il quindicenne. Il dato preoccupante – ha sottolineato Rutolo a Tv2000 – è l’aspetto culturale perché sta crescendo questo esercito di riserva. Lo dobbiamo definire così perché i ragazzi che non studiano, non si formano e non lavorano sono passati dal 28% al 32%. Quello è l’esercito pronto a essere assunto dal cosiddetto sistema della criminalità. Non dobbiamo mai pensare che la Camorra sia una cosa dei poveri o della marginalità perché la Camorra è quella che investe, è quella dei colletti bianchi e della borghesia”.

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Le lettere dal carcere del boss Sequino: ‘Caro nipote, io non dimentico, ripagherò con la stessa moneta’, rivolto a Vastarella

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Napoli. Ci sono una serie di lettere, che la magistratura ha sequestrato, spedite dal boss Salvatore Sequino, dal carcere e indirizzate al nipote Giovanni detto Gianni Gianni e poi a un affiliato in cui mostra tutto il suo risentimento nei confronti di Patrizio Vastarella all’indomani dell’agguato del 3 agosto di vico Nocelle in cui furono uccisi il boss emergente Salvatore Esposito e Ciro Marfè , uomo dei Sequino e ferito Pasquale amodio, altro elemento di spicco del clan. Nella prima lettera Salvatore Sequino si rivolgeva al nipote ,  Giovanni detto Gianni Gianni, disponendo che gli affiliati adottassero le precauzioni del caso restando in casa, senza uscire, alla luce dell’agguato subito “…Ciao mio amato nipote …Omissis… vi raccomando di non camminare di stare sopra, dovete essere invisibili con tutti e con tutto…”.
Salvatore Sequino , inoltre, esternava in maniera palese il suo sentimento di vendetta, invitando gli affiliati ad attendere il momento opportuno per colpire il clan avverso “…io non dimenticherò mai e prima o poi ripagherò con la stessa moneta … dovete solo sapere attendere il momento giusto che stai sicuro arriverà voi dovete solo stare attenti e uniti … Vedrai che tutto passa vedrai che capiterà la nostra occasione che arriverà ma voi dovete essere invisibili sempre capito? State sempre tutti uniti, tutti stretti e avere tanta pazienza che arriverà il momento giusto vedrai lo faranno qualche errore questo è sicuro hai capito?…State solo attenti ti prego io già ho il cuore a pezzi per i nostri due fratelli e non lo sopporterei ancora, quindi tutti uniti non fidatevi di nessuno solo di voi e basta. Vedrai che tutto passa vedrai che capiterà la nostra occasione che arriverà ma voi dovete essere invisibili sempre capito? State sempre tutti uniti, tutti stretti e avere tanta pazienza che arriverà il momento giusto vedrai lo faranno qualche errore questo è sicuro hai capito? Ora state solo attenti e rilassati con la mente dovete essere lucidi in tutto ok ora mi fermo ti bacio e ti stringo forte a me ti raccomando state attenti non voglio più piangere non ce la farei. Ok vi amo!”. La lettera è data 13 agosto 2016. Due settimane dopo ovvero il 24 agosto Salvatore Sequino scrive a Mirko Zolfino: “…ciao carissimo Mirco … ma dimmi una cosa ma tu lo sai che abbiamo perso due fratelli? E lo sai che tu devi dare conto solo a me e no a Gianni?…”.
Sequino proseguiva redarguendo l’affiliato e gli spiegava la gravità della situazione, invitandolo ad allontanarsi da Napoli nel caso in cui non avesse voluto sottostare alle disposizioni impartite “…E allora io sono qui a dannarmi e a stare male e tu te ne vai al festino? Ma ti credi che si sta scherzando? Io non lo so ma se non volete stare andate via allontanatevi da Napoli prima che capita qualche altra cosa, mi sono spiegato?…”.
Il tono utilizzato dal Sequino nella lettera, lasciava trasparire, in maniera incontrovertibile, il carisma ed il ruolo di leader che quest’ultimo rivestiva all’interno del Clan; si poteva cogliere, inoltre, l’enorme esperienza criminale vantata dallo stesso “…Spero che mi ascolterai, come Ciro Macal non la vuole finire di andare e venire da casa sua? Io non lo so vi sembra tutto un gioco comunque te l’ho detto smettetela e pensate che abbiamo perso due fratelli capito?…”.

Anche le telefonate che i detenuti effettuavano dal carcere alle proprie famiglie si dimostravano essere un’occasione per trattare argomenti di interesse per le indagini in corso. Infatti in occasione della conversazione telefonica concessa al detenuto Nicola Sequino, il 25. agosto del 2017, parlava con il figlio Giovanni di questioni relative al sodalizio camorristico. Nel corso della telefonata emergeva che:Nicola chiedeva notizie a Giovanni sul fratello Salvatore anch’egli detenuto. La richiesta non riguardava il suo stato di salute, ma la reazione di Salvatore agli omicidi del 3 agosto scorso. Giovanni rassicurava il padre sullo stato di salute dello zio che era andato a trovare in carcere.
Nicola si interessava come stava facendo il figlio per non ottemperare all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria impostogli con DASPO al fine di rassicurarsi che il figlio stesse in casa ed evitare di correre rischi di altri agguati di camorra. Sull’argomento, già esaustivamente indottrinato dallo zio Salvatore, Giovanni rassicurava il padre, avendo intenzione di non presentarsi ai Carabinieri così come previsto. La moglie Maria Pirozzi, avendo capito quale fosse il senso della richiesta del marito in relazione al fratello, informava il coniuge che Salvatore serbava molto rancore per ciò che era accaduto il 3 agosto scorso e che questi aveva chiesto che Silvestro Pellecchia si presentasse al successivo colloquio in carcere. Questa informazione faceva capire a Nicola che Salvatore reputava Silvio più idoneo per gestire il difficile momento criminale della consorteria camorristica rispetto al figlio Giovanni che era ancora inesperto per certe dinamiche malavitose. Il 26 agosto si acclarava che anche Nicola Sequino si interessava al benessere dei propri affiliati, in particolare il ras si informava con la moglie se il figlio Giovanni stesse uscendo o se si fosse chiuso in casa. La domanda, logicamente, andava oltre il rapporto padre-figlio in quanto la condotta alla quale si interessava Nicola riguardava il modus operandi del clan che in quel momento storico si sentiva tradito ed in pericolo, e, pertanto, avrebbe potuto subire altri agguati di camorra. Allo stesso modo Nicola Sequino chiedeva notizie di Gennaro Passaretti con il quale avrebbe avuto il piacere di parlare al telefono. Tale interesse dimostrava il legame profondo che legava il ras ai suoi uomini”.

 Rosaria Federico

2. continua

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Camorra, ‘sconto di pena’: al boss Orlando: solo 18 anni di carcere

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Marano. E’ stato condannato a 18 anni di carcere il boss Antonio Orlando, detto Mazzolino, capo del clan Orlando di Marano, arrestato tre mesi fa dopo una latitanza di oltre 15 anni. Il leader della cosca ‘dei Carrisi’ era accusato di associazione mafiosa finalizzata al traffico di stupefacenti ed estorsione. Il processo si è celebrato con il rito abbreviato per cui Mazzolino, che è attualmente detenuto nel carcere milanese di Opera, ha usufruito dello sconto di pena. Antonio Orlando in tutti questi anni della sua latitanza è sempre stato nella zona a Nord di Napoli e manteneva i contatti, prima del blitz di due anni che sgominò l’intero clan, con il nipote Armandino Lubrano. Quando fu arrestato il 27 novembre scorso in un appartamento di via Rossini, nel centro di Mugnano, il boss ora 60enne aveva con sé una carta d’identità falsa, con i dati anagrafici di un cugino residente a Marano, e una foto, la sua, piuttosto recente. E prima di arrendersi, tentò di disfarsene e dare alle fiamme alcuni documenti, tra cui alcune lettere e pizzini per comunicare con l’esterno. Secondo gli investigatori al momento dell’arresto il boss era pronto a cambiare rifugio, dove comunque vi era ogni comfort: sauna, doccia e tapis roulant. Nell’appartamento su due livelli, intestato ad una insospettabile,  furono rinvenute due sim card, sei mila euro in contanti e una collezione di Rolex e costosissimi accendini.

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Scontro sull’affidamento di fratello e sorella del bimbo ucciso dal patrigno a Cardito

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Il prossimo undici marzo si ritornerà in aula per valutare l’affidamento delle due sorelline del bambino ucciso a Cardino dal compagno della madre Tony Sessoubti Badre, reo confesso del terribile atto. Lo scorso 31 gennaio il tribunale per i minorenni di Napoli dispose la revoca della potestà genitoriale per Felice Dorice, padre naturale del piccolo ucciso di botte e Valentina Casa madre dei piccoli ed ex compagna di Dorice. Il tribunale dispose, inoltre, anche l’affido delle due sorelle, Erminia e Noemi, ad una struttura segreta e protetta. Al provvedimento del tribunale si sono opposti si la madre, Valentina Casa, che il suo ex compagno. A presentare una domanda di affido temporaneo delle due bambine anche i nonni paterni. L’udienza si è celebrata lunedì alla presenza delle parti che si sono costituite insieme ai propri legali di fiducia. Il giudice, Patrizia Esposito, ha aggiornato l’udienza al prossimo 11 marzo ed ha annunciato la nomina di un perito che avrà il delicato compito di ascoltare le bambine. Saranno valutate dai tecnici il rapporto con i genitori, la capacità dei genitori di poter accudire le due sorelle, il rapporto tra la madre e il compagno assassino e quello con il padre naturale. Non sono da escludere sorprese anche se per la delicatezza degli esami ci vorrà sicuramente del tempo. La madre delle due sorelline non è ad oggi indagata. La Procura di Napoli Nord, infatti, non ha disposto la sua iscrizione nel registro degli indagati ritenendola una vittima di Tony Badre che uccise il figlio di lei nella propria abitazione.

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Sgominata la banda di giovani pusher: acquistavano la droga via internet con i Bitcoin

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Nella mattinata di oggi, a Santa Maria Capua Vetere, San Prisco e Cento in provincia di Ferrara, i carabinieri di San Prisco  hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di cinque persone (tre in carcere, due agli arresti domiciliari), accusate a vario titolo dei reati di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti (marijuana e hashish) e detenzione e spaccio di stupefacenti in concorso. La droga veniva acquistata dagli spacciatori anche via internet e, in alcuni casi, pagata anche in Bitcoin.Il provvedimento è giunto al termine di un’inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia, tra la fine del 2015 e quella del 2018, attraverso intercettazioni telefoniche, testimonianze e controlli.L’inchiesta ha permesso di appurare l’esistenza di un gruppo di 11 giovani, sei dei quali minorenni, dediti allo spaccio a Santa Maria Capua Vetere e zone limitrofe. Le intercettazioni hanno permesso di comprendere il modus operandi dei componenti della banda, definito dagli inquirenti “innovativo”: il capo, infatti, comunicava con gli altri associati anche mediante un sistema informatico di messaggeria criptato noto come ‘Surespot’ e provvedeva in parte all’approvvigionamento di stupefacenti (in particolare, di marijuana) attraverso il servizio postale, con accordi via internet e pagando anche in Bitcoin. Per gli indagati minorenni la procura del tribunale specifico ha emesso un avviso di conclusione indagini preliminari.

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Salerno, il direttore delle agenzie delle entrate si difende: ‘Nessun favore all’imprenditore’

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Salerno. Emilio Vastarella, direttore dell’Agenzia delle Entrate provinciale di Salerno ha risposto nella giornata di ieri alle domande del Gip durante l’interrogatorio di garanzia durato poco più di due ore. Il funzionario ha chiarito la sua posizione e rimarcato la “linearità delle procedure eseguite nelle pratiche dell’imprenditore caseario Gianluca La Marca” smentendo quindi ogni ipotesi corruttiva avanzata dagli inquirenti. Vastarella ha chiarito come l’accordo di conciliazione eseguito nei confronti del caseificio Tre Stelle nasce da procedure previste dall’Agenzia delle Entrata. Vastarella è dalla scorsa settimana agli arresti domiciliari. Secondo la Procura infatti avrebbe “corretto alcune pratiche a favore dell’imprenditore ebolitano La Marca” in cambio di regali. Secondo la guardia di finanza il funzionario dell’agenzia delle entrate territoriale avrebbe autorizzato uno scontro del 10% per una conciliazione tributaria ed intervenuto per uno sblocco dei rimborsi Iva. Nell’ambito della stessa inchiesta anche Giovanni Maiale è stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere noto esponente del clan camorristico locale e già collaboratore di giustizia. Anche se gli inquirenti ritengono che l’uomo, terminato il programma di protezione, abbia iniziato a fare affari con la criminalità organizzata. Tra le altre persone coinvolte c’è l’imprenditore La Marca il cui desiderio sarebbe stato quello di monopolizzare tutto il mercato che va dalla produzione casearia all’allevamento dalla Piana del Sele al Cilento. A carico di La Marca viene contestata la corruzione di un pubblico ufficiale, falso in bilancio all’appropriazione indebita, autoriciclaggio ed impiego di denaro di provenienza, trasferimento fraudolento di valori fino alla turbativa d’asta.

Cronache della Campania@2018

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